Carlo Vichi, morto il fondatore della Mivar: "Funerali fascisti, come voglio essere seppellito"
Carlo Vichi, fondatore della Mivar, storico marchio dei televisori, è morto a 98 anni nella sua Abbiategrasso, in provincia di Milano. "Per i miei funerali voglio una bara di legno povero in mezzo al nuovo stabilimento. Indosserò solo maglietta e pantaloncino. L'ultima frase sarà: A noi!, poi partirà la musica di Faccetta nera. Solo allora la festa avrà inizio. Sono invitati tutti i cittadini di Abbiategrasso. Ad eccezione di autorità e politici". Erano queste le sue volontà, come disse a Il Giornale nella sua ultima intervista, quattro anni fa.
"Nei decenni d'oro (anni '60-'70-'80), quando dallo stabilimento di Abbiategrasso uscivano 5 mila televisori al giorno, pranzavano e cenavano fino a mille operai. Vichi li conosceva uno ad uno e li considerava persone di famiglia. Sentimento ricambiato", scrive Nino Materi sul Giornale. "Una simbiosi - quella tra i vertici aziendali (cioè «Il Vichi», e basta) e le maestranze - capace di scompaginare qualsiasi teoria codificata sui rapporti industriali. La scuola di pensiero economico del «Dux Carlo» era piuttosto basica: qui comando io, ma lo faccio per il bene comune. Tutti i miliardi (di lire) guadagnati in mezzo secolo di attività sono stati infatti sempre reinvestiti per migliorare, attraverso la qualità del prodotto, la qualità della vita dei dipendenti. Anzi, di intere generazioni di dipendenti".
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"Dux Carlo", nostalgico di Mussolini, era un vero "dittatore" che "si identificava nell'opera dei «sudditi» e i «sudditi» in quella del «dittatore». Miracolo di classe reso possibile dal fatto che il «dittatore» si comportava, 24 su 24, esattamente come i suoi «sudditi». Lavorando con loro, fianco a fianco, e indossando la stessa tuta blu. Vichi avrebbe potuto permettersi un'esistenza da super ricco, eppure ha imposto (a lui e ai suoi cari) una vita francescana. Unico «lusso»: il lavoro. Per 70 anni di fila. Anche quando, dal 2013, la Mivar chiuse sotto il peso della concorrenza dei giganti dei «pixel asiatici»".