Al Bano, il ricordo del coronavirus che ha colpito la figlia Jasmine: "Sta bene, ma ci siamo presi un grande spavento"
La vita del signor Carrisi è stata un circolo per nulla vizioso duranteil quale Albano (il nome d'arte è Al Bano, scritto staccato) non si è fatto mancare nulla: il grande successo, la notorietà, le amicizie importanti, una voce tenorile che buca i soffitti, i soldi, i figli e, naturalmente, le donne, da Romina a Loredana. Ma nei 78 anni di questo testardo figlio della Puglia ci sono stati anche spigoli e dolori: la povertà, le umiliazioni, il dramma di una figlia scomparsa nel nulla e le malattie. La sua è una storia italiana. Ce la racconta nella tenuta Curtipitrizzi, mentre stappa una bottiglia di "Felicità", il bianco Souvignon che Al Bano produce insieme ad altri vini. Con successo.
Come sta, Al Bano?
«Meglio, direi bene. Negli ultimi anni non ho fatto molta pubblicità ma ho superato dapprima un tumore alla prostata, poi un infarto, quindi un'ischemia che non è stata fatale soltanto perché stavo prendendo medicine per il precedente infarto, pillole che mi hanno salvato la vita, infine un edema alle corde vocali che ha rischiato di mettere fine alla mia carriera».
A vederla, però, si direbbe che ci sta mentendo...
«È tutto vero. Poi è arrivato il Covid che ha interrotto il tour già programmato. Ma ora sono pronto a tornare in sella».
Il Covid: sua figlia Jasmine è stata male. Ora come va?
«Grazie a Dio meglio, Ma ci siamo presi un grosso spavento».
Lei è un sì-Vax?
«Certo! I vaccini sono le uniche armi per difenderci da tutto, non solo dal Covid».
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Anche da... Ballando con le stelle, dove sarà in gara alla sua età?
«Guardi, mi hanno convinto a partecipare ma devo fare una premessa: io non so assolutamente ballare. Forse qualche giro di valzer, ma stop. Vado a fare il comico, nel senso che farò davvero ridere».
L'isola dei famosi, Il Cantante Mascherato, The Voice: in televisione non si nega proprio nulla. Voglia di protagonismo?
«No, voglia di esserci. All'Isola ho fatto la più bella vacanza della mia vita».
E Sanremo?
«E qui mi eccito. Se mi nomina il Festival, sogno».
Di tornarci?
«Mmmm. Ho una canzone super, ma ad Amadeus non piace, dice: non è da Al Bano».
Lei ha partecipato a 15 Festival in gara. Ritiene davvero fondamentale una sua presenza nell'era dei Maneskin?
«La musica si divide in due mondi: quella bella e quella brutta. Se la canzone funziona, cosa c'entra il resto?».
Ricorda il primo Sanremo?
«Era il 1966. Fuori dall'Ariston c'era un ragazzo piccolino con la barba che stava con il suo cappellaccio a chiedere l'elemosina. Dopo 20 minuti me lo vedo sul palco a provare una canzone. Era Lucio Dalla. Con quel cappellaccio in testa. La canzone era Paff Bum».
Nel 1968 cantò all'Ariston La siepe, un brano a sfondo sociale: lei fece la controrivoluzione culturale nell'anno delle Molotov?
«Sì, è così. I giovani stavano distruggendo il boom di un'Italia coraggiosa. Proponevano distruzione e violenza. Io cantai, ne La siepe, di un emigrante che aveva vissuto la vera povertà. Per i contenuti del testo il brano vinse il primo Premio Tenco. Il '68 l'ho fatto all'Ariston, non distruggendo automobili o spaccando vetrine in piazza».
Poi a Sanremo ci è tornato in coppia. E con il marchio albano&romina ha conquistato l'anima nazional-popolare dell'Italia. Molti vi consideravano simboli di un'Italia che non c'era.
«Perché mai? Vincemmo nel 1984 con Ci sarà, premiati da 4 milioni di voti degli italiani. Io e Romina siamo stati come l'Impero Romano d'Occidente. Grandezza e poi decadenza».
Però fate tour in tutto il mondo, ora. Il matrimonio artistico funziona ancora?
«Sì. Io e Romina siamo fratello e sorella. Tra noi solo lavoro. Basta guerre».
Il dolore vi ha diviso?
«Cristo è salito sulla croce, nella vita di ognuno di noi c'è una croce. A noi non è mancata, purtroppo».
All'inizio degli anni '90 lei era in ginocchio, vero?
«La tragedia di Ylenia era ancora fresca, mi separai da Romina. La musica mi salvò».
Racconti...
«Nel 1996 cantai una canzone molto autobiografica: E la mia vita. L'Ariston non smetteva più di applaudire. Capii che la gente mi amava ancora. Ripartii ma da solo».
Una persona alla quale dire grazie?
«Pippo Baudo. Nel 1967 mi convinse a cambiare look, disse che non potevo salire sul palco vestito come un cameriere e mi fece portare da un sarto di Milano. Mi convinsero a cambiare anche occhiali, indossai quelli quadrati che sono tuttora il mio marchio di fabbrica».
Uno sfizio che non si è ancora tolto?
«Ah, quella famosa tournée fantasma insieme a Gianni Morandi e Massimo Ranieri. Io e Massimo saremmo pronti, Gianni tentenna: "Con le vostre voci mi ammazzereste", dice. Ma sarebbe grandioso, la povertà dalla quale proveniamo tutti e tre, da Napoli, da Monghidoro e dalla Puglia, ci unisce. Sul palco racconteremmo la storia di tre italiani che ce l'hanno fatta».
Quando ha conosciuto la vera povertà?
«Fuggii da Cellino nel 1961 per cercare fortuna a Milano. Dove ho fatto veramente di tutto per mangiare, ho verniciato porte senza essere pagato, ho fatto il cameriere al ristorante Il Dollaro, in piazza Duomo, fino al momento magico quando notarono la mia voce. Pippo Baudo mi portò a Settevoci, poi arrivò Sanremo».
Cosa chiedere di più alla vita, Al Bano?
«Che il Signore continui a farmi svegliare all'alba. Quando prendo il mio trattorino e vado a controllarei vitigni, i cavalli, i campi. Le pare poco?».
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