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Addio a Roberto Calasso, il genio corteggiato dai salotti snob (che non frequentava)

Roberto Calasso

Grande intellettuale, fondatore di una casa editrice che aveva scritto la dieta culturale degli italiani, ottimo scrittore sopra le nequizie del mondo: ci rimane la sua eredità

Francesco Specchia
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Se n’è andato il migliore, sprofondato nel respiro di Dio. Intellettuale onnivoro, scrittore geniale, precocissimo, dal silenzio biografico celato sotto lapilli d’intelligenza, Roberto Calasso, presidente di Adelphi, era un po’ l’Orson Welles della letteratura italiana.

La sua strategia mediatica era arcinota. Uscite pubbliche poche e miratissime, nessun intervista, polemiche rarefatte ma potenti come quelle col germanista marxista Cesare Cases (su un saggio su Gottfried Benn, roba altissima) o col filologo Cesare Segre a proposito della pubblicazione di un pamphlet antisemita di Léon Bloy. Naturalmente Calasso, dalle polemiche degli intellettuali che tentavano di aggrapparglisi addosso, ne usciva vergine e intonso come il Mike Bongiorno della fenomenologia di Eco a contatto con le vertigini dello scibile. Calasso era, insomma, un fantasma altero, irraggiungibile, perfino dai salotti snob che l’avevano elevato a mito ma che lui raramente frequentava. Anzi. A differenza di Giulio Einaudi che fece dell’egemonia cultura della sinistra un modello, Calasso era abbastanza disinteressato al dibattito politico. Fiorentino, classe ’41, figlio di un famoso giurista e di una filologa, Calasso di cui oggi si piange la scomparsa dopo una lunga malattia, con la sua casa editrice, la raffinatissima Adelphi (anche se l’aggettivo “raffinatissima”, dopo decenni gli era venuto a noia) era diventato il faro assoluto, l’obiettivo di ogni scrittore, il mantra sempiterno della cultura. Per un arabesco del destino, proprio nel giorno del suo addio, escono per Adelphi due suoi libri autobiografici, «Memè Scianca», sulla sua infanzia a Firenze, e «Bobi», il memoir su Roberto Bazlen ideatore con Luciano Foà della casa editrice nata nel 1965 e diretta e costruita dallo stesso Calasso a partire dal 1971. Ed è da qui che potrebbe partire il racconto della sua vita: da questa pietra angolare letteraria che spazia dalla Mitteleuropa ai classici orientali, dall’etologia alla scoperta di Arbasino e Morselli (tra gli altri), al rilancio di Oliver Sacks e Simenon, ai breviari pop ispirati all’enorme successo della pubblicazione del Siddartha di Hesse. La vita di Calasso, laureatosi con Mario Praz in letteratura inglese, scrittore saggista tradotto in una trentina di lingue, è connaturata proprio alla casa editrice, sinonimo di scrittura e creatività assolute, e, fusione tra un  pittogramma cinese e il lemma greco “Adelphoi che sta per “fratelli, sodali, complici”. Ma, ben prima di Adelphi, la passione per l’editoria Calasso l’aveva ereditata dal nonno materno Ernesto Codignola, filosofo e pedagogista fondatore della Nuova Italia, alla biblioteca del quale il giovane Roberto s’abbeverava per le sue prime letture. Calasso riusciva a vendere con narrativa di qualità sopraffina basandosi su un intuito soprannaturale.  Aveva rilanciato nel suo catalogo autori che in Italia, pur essendo stati pubblicati, avevano avuto un successo minimo. Tra costoro, Milan Kundera, ma anche Anna Maria Ortese, che con Il cardillo addolorato del 1993 rimase in classifica per parecchie settimane. Una sua scoperta è anche Guido Morselli, che pubblicò postumo dopo i numerosissimi rifiuti che lo scrittore varesino aveva avuto in vita.

Il bestseller della casa editrice rimane, appunto, Siddharta. Calasso era, al contempo, un esegeta e un teorico dell’editoria; in questo in questo con lui se la batteva soltanto Cesare De Michelis fondatore di Marsilio. La casa editrice, per lui era intesa borgesianamente "come forma è una somma di oggetti cartacei che messi insieme possono anche essere considerati come un unico libro". A chi gli chiedeva se Adelphi avesse dettato la dieta cultura degli italiani (l’aveva fatto), Calasso rispondeva: "Faccio fatica a riconoscere una classe dirigente nell'Italia di oggi e certamente non la collego con ciò che pubblichiamo. Mi interessa solo l'efficacia sui singoli. Le persone che leggono i nostri libri sono le più varie. Talvolta si incontrano e si riconoscono fra loro. Ma non ho mai contato su un effetto sociale o politico”, scontentando tutti tranne i propri lettori. Anche come autore era siderale: il romanzo Le nozze di Cadmo e Armonia (1988) lo rese popolare e i volumi pubblicati tra il 1983 e il 2020 - La rovina di Kasch a K., su Kafka e Il rosa Tiepolo, La Folie Baudelaire, Cacciatore celeste La Tavoletta dei destini sono universalmente noti come pezzi di un unico mosaico che fa parte dell’immensa eredità lasciata ai suoi figli Josephine e Tancredi avuti dalla scrittrice tedesca Anna Katharina Fröhlich. A parlare, oggi, di Calasso e di Adelphi si rischia di galleggiare nel banale. Vale per tutti gli gli epicedi quello di Elisabetta Sgarbi: “La tua immagine, la tua voce, il guizzo dei tuoi occhi ci mancheranno, ma resteranno impigliati, come un fosfene, nei libri che hai pubblicato e scritto…”

 

 

  

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