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Giuseppe De Donno, la testimonianza del collega: "Stava provando a curarsi. Ma la scorsa domenica..."

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Ci sono ancora dubbi sulla morte di Giuseppe De Donno, il medico padre della cura del plasma iperimmune, trovato impiccato martedì nella sua abitazione alle porte di Mantova. Chi lo conosce, Matteo Salvini compreso, non può che parlare bene. Ma sono in tanti gli amici che rivelano il malessere che lo aveva colpito negli ultimi mesi.  Complice, con ogni probabilità, la frenata sull'utilizzo del plasma iperimmune per curare i pazienti Covid dopo la chiusura dei rubinetti dei finanziamenti alla ricerca.

 

 

"I mesi in prima linea gli avevano trasmesso adrenalina - racconta il direttore sanitario dell'ospedale Raffaello Stradoni al Corriere della Sera -. L'avevano rimesso sulla barricata, a salvare vite umane. Il ritorno alla normalità l'aveva fatto ripiombare in quell'antica sofferenza. Qualcosa da cui stava provando a curarsi". Il 9 giugno De Donno infatti ha comunicato la decisione di lasciare l'ospedale per fare il medico di base. Qui, ha raccontato ancora chi lo conosceva bene come il presidente del consiglio comunale Roberto Mari, "sembrava aver trovato un nuovo slancio, ma da domenica lo sguardo era perso. Sperava di poter vivere in pace. Di ritrovare aria. La macchina del fango partiva da gente che aveva intorno".

 

 

De Donno a inizio pandemia era sulla bocca di tutti, l'uomo in grado di rivoluzionare la lotta contro il virus. Qualcosa però ancora non torna, tanto che la procura di Mantova ha deciso di aprire un'inchiesta, sequestrando pc e cellulari del medico per capire se possano esserci responsabilità di terzi. "Il suo è un gesto che non può essere figlio solo di un fallimento professionale - ha commentato Ivan Papazzoni, un amico curato da De Donno. E infatti c'è parla di un piccolo malessere anche in famiglia. Nel frattempo però non sono mancate le teorie complottiste degli sciacalli piovute sui social.

 

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