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Filippo Facci contro Marco Travaglio: "Orfano politico a vita". Tutti i suoi "amori" finiti male

Filippo Facci
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Le battaglie perse sono le più divertenti, ma ormai Marco Travaglio rischia di morire dal ridere (e noi pure, a leggerlo) perché siamo, ormai, al masochismo esibito, alla candidatura di orfano politico a vita, a un elogio del peggio e del nulla che ha qualcosa di scientifico. Cioè: Travaglio, ora, ha mollato pure Grillo. Il direttore del Fatto, da 25 anni, cerca di intercettare il peggio del qualunquismo forcaiolo per traghettarlo verso personaggi che poi si vanno a schiantare con fragori da rompere il timpano: ma lui resta sordo nel porsi ogni domanda.

Non è tanto la persona di Travaglio a contare (lui ha una sua importanza, ma non così tanta) quanto il percorso di una parte di questo Paese disgraziato, che non ha mai vinto - fatta salva una breve stagione grillina, appunto - ma che può consolarsi in una cosa sola: ha fatto tanti danni. Non è certo una novità che Travaglio sostenga Giuseppe Conte, un mediocre avvocato parac*** estratto dal nulla e al nulla ri -destinato: ma ora Travaglio, per accreditare un lapillo, giunge a delegittimare il vulcano. Secondo Travaglio, Conte sarebbe «un affermato avvocato civilista e docente universitario divenuto in tre anni il politico italiano più popolare». Non c'è una sola cosa vera in questa frase, ma non staremo a smentirla. Conte, secondo Travaglio, è «il premier che ha affrontato la pandemia e ottenuto il Recovery Fund».

Sicuro. La pandemia l'ha affrontata: con esiti misurabili in vari modi (compreso il numero dei morti) non ultimo la necessità di sostituirlo per urgente dettato del Capo dello Stato. Il Recovery Fund non l'ha ottenuto: gliel'ha bocciato l'universo mondo, e Mario Draghi ha dovuto riscriverlo perché era tutto da rifare. Ma il problema è Grillo, secondo Travaglio: lui ha «mandato il M5S al macello nel governo più restauratore mai visto», frase accettabile sul piano del restauro di ciò che era tarlato e inservibile.

 

 

 

LA CARRIERA - Grillo, secondo Travaglio, pretende di decidere al posto di Conte «la linea politica, la segreteria e la comunicazione», quando la linea politica e la segreteria e la comunicazione del governo Conte (chiamiamole) hanno indotto senza indugio a invocare un governo di unità nazionale. Ma, secondo Travaglio, chiunque «accettasse di farsi dettare la linea politica» eccetera «sarebbe un cogl***e». A suo modo, ci avviciniamo al punto. Devono essere i grilli ni «a decidere chi fa il capo e chi fa il cogl***e», dice Travaglio, posto che entrambi sono apertamente candidati. Oppure: Conte «manda tutti affan***o e se ne torna a fare l'avvocato» mentre Grillo, i Cinque Stelle, «è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli».

Sì, ci avviciniamo al punto. È tutto sul Fatto di ieri. In attesa di puntualizzare, persino Travaglio ha tempo di valutare le scelte lungimiranti di una carriera (sua) imperniata sull'equilibrio e sulla ponderazione. Travaglio lavorò per il Giornale di Montanelli dal 1987 al 1994, e si adeguò alla linea craxiana-democristiana di un direttore che peraltro definì Berlusconi come migliore editore possibile. Poi Montanelli fondò La Voce e Travaglio lo seguì: ma il quotidiano chiuse rapidamente. Prima ancora di intraprendere un'intera carriera contro Berlusconi, Travaglio scrisse un paio di libri per la Mondadori di Berlusconi e questo nel 1994, quando la celebre discesa in campo era già stata annunciata da tempo: il primo libro si chiamava "Stupidario del calcio e altri sport", il secondo invece "Palle mondiali". Un titolo autobiografico. Quando Valentino Castellani si candidò a sindaco di Torino, Travaglio fece fuoco e fiamme: era il 1993 e Castellani fu subito eletto, tanto che Travaglio ci scrisse assieme il libro agiografico "Il mestiere di sindaco". Seguì un periodo confuso. Travaglio, nel periodo secessionista della Lega, scrisse sulla Padania con lo pseudonimo di Calandrino, ché il suo vero cognome pareva troppo smaccato. Scrisse anche per Il Borghese, ma chiuse. Dopo la retorica leghista, rivolta contro i parassiti pagati dalla Rai e per esempio dall'Unità, cioè dal contribuente, Travaglio scrisse per l'Unità e lavorò per la Rai. L'Unità ha chiuso. Andò da Daniele Luttazzi: chiuso il programma. Promosse programmi della Guzzanti, di Oliviero Beha e di Massimo Fini: mai fatti.

 

 

FOLGORAZIONE - In tutto questo sostenne l'avventura politica di Antonio Di Pietro, che sappiamo com' è finita. Sostenne Gian Carlo Caselli all'Antimafia: fecero una legge per bloccarlo. Gli capitò anche un incidente che non ama sia ricordato: forse per ingenuità, portò la famiglia in Sicilia a trascorrere le vacanze in presenza di un favoreggiatore di mafiosi arrestato tre mesi dopo. «Io faccio solo il giornalista» amava ripetere prima di fare comizi alle manifestazioni politiche di Grillo e di Di Pietro: facendo intanto spettacolini teatrali, invocando il diritto di satira anziché di opinione, vendendo dvd di se stesso e libri di carte passate dai magistrati. Altri punti di riferimento furono i magistrati Woodcock, Forleo, De Magistris e Di Matteo: no comment. La vera folgorazione però rimase sempre quella per Beppe Grillo, il cui qualunquismo aveva sbaragliato tutti gli altri: era rimasto vivo giusto lui. Ora Travaglio gli dà bacio della morte.

 

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