Roberto Gervaso , l'ultimo dannunziano
Amor di patria e per la vita, dandysmo, capacità di spiazzare il pubblico: ecco cosa avevano in comune il giornalista e il Vate
Nel segreto dell’urna ti guardano gli dei. “Già che ci sei, dammi un’occhiata all’urna, e controlla che abbiano scritto bene il nome di Roberto sulla targa, si sa mai di s’ti tempi..”. Giordano Bruno Guerri, sorride preoccupato. Dal suo ufficio di presidenza del Vittoriale degli italiani denso di libri e ritratti e suggestioni dannunziane, mi indica il Mausoleo del Vate che troneggia in un punto lassù, emergendo dal dedalo verde dei sentieri, nell’orizzonte tra la Nave Puglia, la Prioria, il Mas e l’arabesco d’un gabbiano. Da qui Guerri prepara l’evento che inaugura i cent’anni del paradiso perduto di Gabriele D’Annunzio: la salma di Roberto Gervaso accolta sotto quella Vate, in una “serena cappella circolare, raccolta e aperta al vento” tra gli undici compagni di battaglia del poeta e le ceneri dell’antropologa Ida Magli “in una nicchia che pare fatta apposta..”, spiega il Presidente.
La tumulazione di Gervaso –un onore raro- si svolge in cerimonia privata, introdotta da un alzabandiera sull’attenti e dal Silenzio di un trombettiere. Un rito incorniciato dall’installazione di un branco di levrieri bianchi di terracotta, sdraiati tra l’arca contenente l’architetto del Vittoriale Giancarlo Maroni e quella vuota dell’aviere Antonio Locatelli triplice medaglia d’oro eroicamente caduto nei cieli di Libia. Un cannone tirato a lucido viene puntato di fronte, verso l’Isola del Garda dei conti Cavazza; mi aspetto undici colpi sparati al destino, come da tradizione dannunziana. Sul lago il vento carezza le onde e un’attesa solenne. E qui, a cotè, m’immagino una battuta tonante di Gervaso, tipo “la morte ci fa rinunciare a quello che la vita non ci avrebbe mai dato”. Gervaso nell’aldilà a braccetto con Dannunzio: una gara a chi veste meglio, ama di più l’Italia e spiazza per primo la platea. Non so come l’ironia invincibile di Roberto avrebbe accolto l’illustre sepoltura. Anzi, mi chiedo, in fondo, cosa diavolo c’entri lui con D’Annunzio. “Me lo chiedono spesso. Roberto aveva un profondo legame col Vittoriale di cui era consigliere d’amministrazione, aveva citato D’Annunzio nei suoi libro I destri” mi risponde Guerri “di D’Annunzio non aveva lo stile di scrittura ma era dannunziano nello spirito, nel suo modo di essere intellettuale; e come il Vate aveva messo tutto l’impegno a vivere l’estetica della vita, con un gusto innato del bello, della voglia di fare e di creare. Arricchiva i nostri cda con idee e battute taglienti che colpivano come schiaffi; alla presentazione del nuovo logo del Vittoriale commentò dannunzianamente: “è stitico”. Aveva ragione, lo cambiammo. D’Annunzio avrebbe apprezzato i suoi fulminanti aforismi. Mai avrei immaginato che, su richiesta delle famiglia, avrei organizzato l’inumazione di Roberto”.
Mentre Guerri rianima le salme locali con aneddoti storici (gli incontri di Marinetti e D’Annunzio che gli dava marittinianamente del “cretino fosforescente”; l’urna destinata a un sottufficiale che si beccò, affacciato alla finestra del Vate, una palla di cannone dalla corazzata Andrea Doria di passaggio; la frase caposaldo e libertaria “conservare intiera la libertà sin nell’ebrezza”, valida sia per D’Annunzio che per Gervaso), io realizzo che l’inumazione al Vittoriale è più à la page di una prima della Scala. “Non sai quanti vogliono farsi seppellire al Vittoriale. Insegnanti, poeti, ammiratori, gente in cerca di una tomba. Lei signora vuol farsi seppellire al Vittoriale?...” si rivolge Guerri a una signora che ci porta un caffè e che risponde pronta: “Presidente la solleverei da quest’incombenza”. E il Presidente continua: “Stando qui mi rendo conto di aver svolto anche il lavoro di becchino. Abbiamo inumato ultimamente il senatore Riccardo Gigante, combattente, già sindaco di Fiume che nel 45 rimase ad affrontare Tito, sparì e lo ritrovammo in una fossa comune dopo averne individuato il dna; e il comandante Miraglia, anch’egli pilota nella Fiume occupata da D’Annunzio. E poi Luisa Baccara, pianista, amante storica del Vate vera padrona di casa. Giaceva sepolta in una tomba semidistrutta a Venezia. La trasporteremo qui, io la metterai accanto alla tomba della moglie Maria, o all’altra amante, la governante che D’Annunzio chiamava Helice, “elica” in francese soprannome dato per delle sue specifiche abilità sessuali …”. A proposito di sesso. Guerri mi confida di aver “ trovato in una cassa la lettera di un’amante del poeta, accompagnata da un fazzoletto di D’Annunzio usato non certo per soffiarsi il naso. Da lì ho chiesto ai Ris l’impresa impossibile di individuare dopo 100 anni, il dna di del Vate. Beh, l’hanno codificato”. Interessante. Ma scusa, Giordano, che te ne fai del dna di Gabriele D’Annunzio? “E cosa me ne faccio? Intanto abbiamo il dna di un genio. Extrema ratio ci faccio crescere in cantina dei piccoli cloni del Vate”, tipo quel romanzo di Ira Levin, i ragazzi venuti dal Brasile. Rido. Ma non so quanto Guerri scherzi. Il dannunzismo è un virus insinuante, esalta gli animi e spinge a vette imponderabili.
Il Vittoriale, con la gestione Guerri, ha ultimato la sua “Riconquista”: nel 2008, prima del suo arrivo i visitatori erano 148mila, nel 2019 hanno toccato i 279mila; la privatizzazione ha fatto escludere il Vittoriale dai contributi pubblici, ma ha snellito la gestione degli eventi e dei 43 dipendenti, con un vero cda che fa quadrare i bilanci. Ogni sera c’è un evento culturale, e mille mostre; e D’Annunzio (anche grazie al film Il cattivo poeta con Castellitto) è tornato alla ribalta europea. Il papillon di Gervaso arricchisce l’arazzo…