Luca Ricolfi sul caso di Saman Abbas: "Se ne parla poco? La sinistra ha sempre un occhio di riguardo per l'islam
Non sembra sollecitare troppo interesse la triste storia di Saman Abbas, la ragazza sparita a Novellara, a una ventina di chilometri da Reggio Emilia. Il silenzio della sinistra e delle associazioni che si occupano dei diritti delle donne si fa sempre più assordante, ma qual è il motivo di questo silenzio? C'è "una ragione buona e una cattiva" suppone il sociologo Luca Ricolfi, intervistato da Il Giorno. "La ragione buona è che, al momento, non si sa come siano andate effettivamente le cose, e neppure se la ragazza pachistana sia viva o morta. La ragione cattiva è che la sinistra ha un occhio di riguardo per l'Islam, e teme che i lati più imbarazzanti di quella cultura, e in particolare il suo modo di trattare la donna, compromettano il progetto politico di diventare i rappresentanti elettorali di quel mondo, grazie all'allargamento del diritto di voto agli immigrati".
"Temo che anche se vi fosse la certezza che Saman è stata uccisa dai familiari, un velo pietoso verrebbe steso sulla vicenda, meno interessante di quella di qualche aspirante attrice molestata da registi o produttori". Il sociologo spiega poi il ruolo del "politicamente corretto" all'interno della questione: "È paradossale, ma il politicamente corretto - nato per combattere le discriminazioni - sta diventando, oggi, uno dei meccanismi attraverso cui passano nuove e meno visibili forme di discriminazione". "Concedendo una protezione speciale a una serie di presunte minoranze (l'Islam è solo una di esse)" spiega l'accademico "si finisce per attenuare le garanzie e indebolire le tutele nei confronti di quanti hanno la sola colpa di non far parte di alcuna categoria protetta".
"Non solo" sottolinea Ricolfi "ma si viene a instaurare una sorta di presunzione di innocenza, o di responsabilità attenuata, per chiunque commetta reati ma abbia il vantaggio di far parte di una categoria protetta. Con tanti saluti al principio per cui dovremmo essere giudicati per quel che facciamo, non per quello che siamo". L'integrazione dovrebbe contemplare l'obbligo di rispettare i diritti umani. "Altrimenti non è integrazione, ma mera concessione (agli stranieri) di spazi di impunità cui nessuna comunità nazionale può aspirare (salvo forse alcune sette religiose semi-clandestine). Bisogna ammettere però, che da oltre mezzo secolo (più o meno dall'era delle decolonizzazioni), questo è un nodo irrisolto della cultura occidentale, e di quella europea in particolare" sostiene Ricolfi.
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"Se da bravo antropologo, aperto e non eurocentrico, dici che ogni cultura va giudicata con i suoi metri e non con quelli di un'altra, se continui a proclamare che 'loro' non sono primitivi ma solo diversi da noi, e che ogni usanza, rito o costume ha la sua dignità e la sua ragion d'essere, esercizio in cui la civiltà occidentale si è prodigata per decenni e decenni, se fai tutto questo, beh, allora è un po' difficilino pretendere che loro rispettino i diritti umani, che in fondo non sono verità rivelate, ma un costrutto contingente e 'storicamente determinato' (così avrebbe detto Marx) della nostra civiltà occidentale" spiega il sociologo.
E per quanto riguarda alcune tradizioni islamiche, come l'infibulazione delle ragazze e l'obbligo di sposare giovani scelti dalle famiglie? "Il problema è che noi non abbiamo il coraggio di dirgli la verità, ovvero quel che davvero la maggior parte di noi pensa: e cioè che, per noi, certi loro costumi sono barbari. E che se vogliono vivere con noi possono mangiare quel che vogliono, pregare il Dio che gli pare, vestirsi come gli aggrada, ma non può esserci alcun comportamento che sia proibito a un italiano e permesso a loro" conclude Luca Ricolfi.