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Alessandra Ghisleri a Pietro Senaldi: "Giorgia Meloni premiata dall'opposizione ma occhio a Matteo Salvini, può tornare a crescere"

Pietro Senaldi
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«C'è un grande vaccino che immunizza la politica, un ombrello sotto il quale hanno trovato ospitalità praticamente tutti. Si chiama Mario Draghi e si è caricato sulle spalle le aspettative di un Paese indebolito dalla pandemia e ancora molto fragile. C'è solo la sua faccia sull'agognata ripartenza».

Una deresponsabilizzazione dei partiti? «Sono responsabilizzati in maniera diversa. Ci sono forze che non sono mai state insieme costrette ora a convivere senza deludere il loro elettorato. È una quadratura complicata. Certo i cittadini si stanno dimostrando molto più pazienti con il premier piuttosto che con i partiti, tant' è che il primo ha un gradimento alto mentre le forze politiche non riescono ad attrarre quel 35% di persone che costituisce il popolo degli astenuti. Viviamo un momento di attesa, una vigilia, anche se non si sa bene di cosa. Tutti sanno che è una fase di transizione, per la giustizia, l'economia, la scuola, ma non si capisce bene verso cosa».

 

 

Cosa piace di Draghi agli italiani? «Vivono il suo insediamento come una parentesi di necessaria competenza. Infatti è al 53% dei consensi, mentre Conte nel suo momento più alto, esattamente un anno fa, sfiorava il 50. È vincente la sua equidistanza e la sensazione di solidità che trasmette. Il sistema di vaccinazione comincia a funzionare bene ed è piaciuto il piano di utilizzo dei prestiti europei. Però è un consenso ancora tutto basato sulla fiducia cieca, con la paura che quando toglieranno i blocchi ai licenziamenti o agli affitti si scatenerà il caos».

Alessandra Ghisleri, presidente dell'istituto demoscopico Euromedia Research, fotografa una realtà politica ovattata, in contrapposizione con quella tumultuosa dei cittadini, che infatti faticano a riconoscersi nei partiti. Questo significa che, da qui a qualche mese, lo scenario potrebbe cambiare completamente perché «c'è spazio per l'ingresso di nuovi soggetti, purché non figli della solita scissione o frammentazione legata più a esigenze di affermazione personale che di soddisfazione di istanze dell'elettorato». Ed è proprio il leaderismo che ha bruciato la politica, perché chi è stato portato in alto poi si è trovato solo contro le difficoltà, si è scontrato con l'immobilismo della burocrazia e del sistema e nessuno è riuscito a compiere il proprio cammino fino in fondo. Se ci fosse un Berlusconi giovane e senza passato politico...

 

 

La sensazione è che Draghi faccia bene ai politici che ne stanno lontani. Cresce solo la Meloni «La Meloni ha il vento in poppa, però il voto non è alle porte e i conti si fanno alla fine. Al momento cresce grazie ai leghisti contrari all'appoggio di Salvini al governo e in virtù del fatto che intercetta quella parte di opposizione che qualsiasi esecutivo ha. Però la partita è appena iniziata; se Draghi dovesse incassare qualche risultato il consenso che Fdi ha sottratto alla Lega potrebbero tornare alla casa madre».

Cosa dovrebbe fare allora Giorgia? «Dovrebbe fare delle contestazioni molto mirate. Deve giustificare molto chiaramente tutti i no che dice. Lei ha il pregio della coerenza, che è molto apprezzata, però essa non deve impedirle di appoggiare il governo nelle iniziative corrette dicendo dei Sì, là dove servono. Fdi deve essere un pungolo a Draghi, non un bazooka che spara sempre contro».

Alla lunga la scommessa di Salvini quindi potrebbe essere più fruttuosa? «Salvini si gioca tutto, proprio come tutti gli altri e come l'intero Paese. Il sostegno a Draghi lo ha messo in difficoltà nei consensi, ma resta 6-7 punti sopra la Meloni come gradimento personale e 4-5 come partito. Bisogna anche dire che, dopo aver vinto la battaglia sulle aperture e aver spinto per lo slittamento del coprifuoco, cosa che dovrebbe essere ridiscussa nelle prossime settimane, Matteo Salvini ha recuperato mezzo punto, cosa che non accadeva da mesi».

Il fatto che la Lega sia al governo e Fdi all'opposizione nuoce al centrodestra? «No, però neppure lo fa crescere. Lo schieramento resta sempre tra il 47% e il 50%, come l'asse Pd-M5S-Leu resta sempre 7-10 punti sotto. Saranno decisivi i prossimi mesi: bisogna vedere cosa porterà a casa il centrodestra di concreto dopo l'esperienza del governo Draghi».

La situazione per l'asse Pd-M5S-Leu sembra complessa, Letta e Conte non si fidanzano: qual è il problema? «Il Pd vorrebbe assorbire politicamente il M5S, tuttavia gli elettorati e i temi non sono così aderenti e affini, a differenza che nell'alleanza di centrodestra».

 

 

Quanto piace Conte all'elettorato grillino? «La crisi di M5S è profonda e ha molte facce. Pesano moltissimo il divorzio con Casaleggio e i venti di scissione alimentati da Di Battista. In più, benché Grillo abbia benedetto Conte, nel Movimento di fatto non si sono ancora riorganizzati. La narrazione di quel che diventerà il Movimento 5 Stelle non è ancora partita, o comunque non è chiara al momento».

Anche Letta non ha rivitalizzato il Pd «Ma no, i Dem un paio di punti li hanno presi dopo l'addio di Zingaretti».

Adesso il segretario ha lanciato l'operazione simpatia. Che ne pensa, che cambierà tutti i dirigenti? «Non lo so, immagino alluda a un problema di comunicazione. Quel che rilevo è che al momento gli italiani sono interessati ai temi pandemici ed economici e che le battaglie identitarie rilanciate da Letta su donne, gay, extracomunitari, che pur sono importanti e sentite in maniera forte nella società, non sono avvertite oggi come la priorità dalla maggioranza degli elettori».

Ma i dem saranno ancora credibili se punteranno anche la prossima campagna elettorale sulla criminalizzazione di Salvini, con il quale stanno governando? «In politica ho visto di tutto in questi anni».

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