Ursula von der Leyen, bomba del re del gossip: il "fetish" della presidente, "lo fa sempre nei momenti difficili"
«La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen spesso indossa per gli incontri più difficili con estrema disinvoltura e apparente agio la sua giacca fucsia, un tratto ormai distintivo che la rende facilmente riconoscibile agli occhi delle telecamere e rispetto alle colleghe». Me lo svela l'art director di acclarata fama Michele Migliarini, già laureato col massimo dei voti a Brera e curatore con il suo service Rubberduck di mostre culturali. E chi conosce Ursula dice che quella giacca è un vero fetish protettivo per lei, e la indossa decine e decine di volte. Protettivo ma non abbastanza, visto che all'incontro con Erdogan, dove indossava quella giacca, è stata trattata come una pezza da piedi e in piedi l'hanno lasciata. La domanda che attanaglia le coscienze d'Europa è: cambierà colore?
di Roberto Alessi
(tratto da Alta Portineria, la rubrica su Libero)
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Di seguito vi riproponiamo un commento di Pietro Senaldi sul cosiddetto sofa-gate:
Che differenza c'è tra poltrona e sofà? Che il secondo è più grande e comodo della prima, specie se si tratta del divano di un sultano. L'Unione Europea ogni cosa che fa ne sbaglia due. È riuscita a trasformare in un caso di sessismo, con annesso incidente diplomatico, l'incontro tra i suoi vertici e il presidente Erdogan sul futuro delle relazioni tra Bruxelles e Ankara. Da destra: il presidente turco Erdogan, il capo del Consiglio d'Europa Charles Michel e, sul divano, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen La vicenda è nota. La presidente della Commissione Ue, la tedesca Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel, sono andati ad Ankara a omaggiare il para-dittatore turco, fresco di un provvedimento che avvilisce ulteriormente la condizione femminile dalle sue parti.
Erdogan ha fatto accomodare l'uomo su una poltrona al suo fianco e indicato alla signora un divano più distante. Scandalo di tutto l'Occidente. D'altronde chi, in visita, non si indignerebbe se venisse relegato su un divano anziché su una sedia? Fatto sta che l'episodio ha fatto realizzare improvvisamente ai progressisti europei che l'Islam ha qualche problema con le donne. Ne ha fatto le spese anche Michel, messo alla gogna per non aver sfidato a duello il sultano per restituire l'onore alle signore Europa e von der Leyen. Curiosa la nuova sensibilità femminista alla viva il parroco che sta sviluppando la nostra cultura. Se la Boldrini o la Bonino sono obbligate a indossare il velo quando vanno in Iran, non è un'umiliante imposizione ma un segno di rispetto alla civiltà islamica, ma Ursula spaparanzata su un sofà da mille e una notte è inoppugnabile prova di retrivo maschilismo.
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La questione non finisce qui. Michel si è goffamente difeso, attaccando la rigidità del protocollo turco e affermando che, noblesse oblige, meglio far inghiottire un rospo a una signora e a un Continente piuttosto che dispiacere un ospite correggendogli l'etichetta. Specie se l'anfitrione è musulmano perché, secondo i cortocircuiti del politicamente corretto, mandare al diavolo Erdogan a casa sua può rivelarsi discriminatorio rispetto all'immigrato arabo sotto casa nostra, che magari è stato torturato in uno dei campi profughi del sultano finanziati dall'Europa.
La Turchia però non si è prestata a far la parte del Paese arcaico e misogino che la Ue le voleva, con opportunismo razzista, cucire addosso per cavarsi d'impaccio. In una nota, non smentita dall'Unione, Ankara ha fatto sapere che il protocollo dell'incontro era stato concordato. Dai vaccini all'immigrazione, dai fondi Ue alla questione libica, l'esperienza ci porta a credere ai sudditi di Erdogan più che ai capoccioni di Bruxelles. Nella consapevolezza che, visto dove si è svolto il siparietto, non sapremo mai tutta la verità, ogni possibile ipotesi interpretativa vede la Ue in difetto rispetto ad Ankara.
Se i turchi mentono, e la von der Leyen è stata deliberatamente umiliata in quanto donna, allora l'Unione per l'ennesima volta ha piegato il ginocchio di fronte alle prepotenze di un Paese islamico. Se invece dicono la verità, per una volta l'Europa aveva correttamente deciso di non far troppa differenza tra poltrone e sofà, ma non è stata capace di difendere la propria posizione dalla furia cieca dell'opinione pubblica. Ha preferito creare un incidente diplomatico e autodenunciare la propria debolezza pur di non sfidare l'indignazione montante, ridimensionandola vista la marginalità dell'episodio. Per quanto ci riguarda, se fossimo stati nei panni di Erdogan, non avremmo fatto sedere Ursula né sulla poltrona né sul divano. Meglio starebbe, la signora, inginocchiata sui ceci, magari con un burqa; beninteso, non in quanto è una donna, ma solo perché è un'incapace, inopinatamente paracadutata in una posizione di prestigio dalla quale non ha fatto che danni.
Questo iniziano a pensarlo anche in Germania, dove una parte del tramonto della Merkel è dovuta alla scelta sciagurata di aver piazzato a Bruxelles la sua damigella d'onore. Se l'Europa fosse una cosa seria, non polemizzerebbe con Erdogan sulle sedie e non si illuderebbe di cambiarne la politica sulle donne con una scampagnata ad Ankara per tenergli una lezioncina. Ma soprattutto, se fossero un vero governo, tenuto a rispondere a un popolo e non a una cancelleria, la Commissione Ue e la sua presidente sarebbero già cadute da un pezzo, travolte dalla loro incapacità, virale e contagiosa. E su questo Draghi non ha fatto venire meno la propria stoccata: «Con i dittatori devi mettere subito le cose in chiaro» ha dettto, dando ufficialmente del despota a Erdogan. Quando Ursula non è riuscita neppure a farlo sentire il cafone che è.