Lo strano caso del robot scrittore
L'algoritmo Gpt-3 fa scrivere con lo stile dei romanzieri e trasforma i robot in besteselleristi. Siamo in piena fantascienza. C'è un limite etico?
L’assioma che metteva al riparo noi, pregiate penne, dalle insidie della tecnologia, era semplice e tonante: “Quando vedrò un computer in grado di scrivere come Truman Capote, smetterò di fare questo mestiere…”.
Questo affermavo anni fa, durante quegli scintillanti dibattiti su Intelligenza Artificiale e letteratura, in cui c’era sempre qualcuno -di solito un nerd, plurilaureato in ingegnere e informatica- che alzava il ditino e ti faceva la solita domanda carognetta: “E cosa succederà il giorno in cui i robot, nelle scrittura, sostituiranno gli esseri umani?...”. Bene. Ora pare che quel giorno si stia avvicinando pericolosamente. Col via libera il via libera di Microsoft, infatti, arriva anche in Italia Gpt-3, l’ultimo algoritmo elaborato da OpenAi che consente di scrivere “in modo corretto, fluente e perfino letterario qualsiasi cosa senza bisogno di supervisione umana”, come dicono quelli della start up tutta italiana di Indigo.Ai. la cui piattaforma integrerà l’algoritmo stesso. Che avrà, dunque, la duplice funzione sia di farti scrivere un romanzo con lo stile e la padronanza testuale del tuo scrittore preferito; sia di consentire ad un robot di scrivere come te che imiti il tuo scrittore preferito. E senza che, teoricamente, nessuno si accorga della differenza. Occhio. Non parliamo più di semplici programmi di scrittura modulare, di quelli già ormai usati nelle redazioni più tecnologiche per redigere articoletti di sport o di cronaca sulla scorta dei lanci d’agenzia: pezzulli costruiti sul paratattico, con scarsa varietà di lemmi e privi di figure retoriche. No, quelle erano pinzellacchere, notizie estratte dal quotidiano che non mettevano di certo a rischio l’estro e la fantasia del passista letterario.
Qui, ora, è diverso. Qui si discute di robot che copiano ed elaborano stili di scrittura e attingono ai format delle varie avanguardie e movimenti letterari. Cioè: pensi di leggere un elaborato di Tolstoj, di Hemingway, Oz, Sylvia Plath, del gruppo Ulipo o dei profeti del cyberpunk, perfino un’operella inedita di Montanelli; e di ritrovi in mano un tarocco confezionato da una macchina che ha già immagazzinato 175 miliardi di parametri di scrittura (la versione precedente era di 1,5 miliardi).
Il progetto dell’A.I. dell’intelligenza artificiale più sviluppata al mondo è un’enormità da 4,6 milioni di dollari; e ha potenzialità fantastiche e terribili. Non è un caso che il Guardian, qualche settimana fa, pubblicò un articolo dell’algoritmo Gpt-3 assolutamente indistinguibile da quello di un giornalista umano (“Nel complesso, l’editing del pezzo è stato più veloce di quanto non succeda con molti pezzi scritti da umani”, fu il commento laconico del caporedattore). E non è un caso che, sulla base di quel risultato strabiliante, l’amministratore delegato di Indigo Gianluca Maruzzella, al collega Giuliano Balestreri avesse dichiarato: “Il lato oscuro di un potenziale così ampio è nell’utilizzo che se ne può fare. La capacità di Gpt-3 di imparare così rapidamente e facilmente lo rende un’arma letale per chi volesse farne uno strumento di propaganda”. Aggiungendo che “serve un compromesso tra la libertà d’espressione e la difesa della libertà altrui, ma ancora di più un modello per costruire una tecnologia che sia a sostegno dell’uomo e non una minaccia costante”. Che è un po’ come dire: abbiamo inventato i robot coscienti di Isaac Asimov, ma mettiamo le mani avanti prima di incasinarci la vita. Tecnicamente il Gpt-3 fa parte di un gruppo di modelli di linguaggio chiamati “transformer”, diffusisi con il BERT di Google (Bidirectional Encoder Representations from Transformers); e si basano su catene di Markov e processi stocastici, una cosa complicatissima che, in pratica, consente al computer di improvvisare. Quanto di più vicino al concetto di produzione artistica.
La figura del robot- scrittore è affascinante, ma è farcita di rischi. Il dramma è che, mentre ci domandiamo se la riproducibilità robotica di un libro contrasti con l’etica, qualcuno si è già inoltrato in esperimenti assai pericolosi. Per esempio, il premio EspasaEsPoesía – destinato agli autori di lingua spagnola sotto i 35 anni – venne assegnato ad un tizio, Rafael Cabaliere, a cui nessuno ebbe mai il piacere di stringere la mano, anche prima del Covid. Cabaliere era autore di haiku, poesiole brevi che sembravano uscite dalle carte dei cioccolatini; e, pur avendo un milione di follower, con la scusa di una acclarata misantropia non si faceva vedere in giro neanche per ritirare i premi. Probabilmente era un robot. Di sicuro era un software quello programmato da un team guidato dal futurologo Hitoshi Matsubara. Impostato con un frasario e con regole di costruzione e associazione del materiale scritto, il sofware assemblò una trama che produsse il romanzo Il giorno che un computer ha scritto un romanzo, inviato al premio letterario Shinichi Hoshi, senza segnalare la natura del suo autore. L’articolo sul Guardian del Gpt-3 iniziava così: “Un robot ha scritto questo articolo per intero. Non sei ancora spaventato, umano?”. E da lì, ho ricominciato a sfogliare, nervosamente, i libri di Truman Capote…
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