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Enrico Mentana, l'intervista: "Non possono morire per Conte". Crisi di governo, "qualcuno ha sbagliato i calcoli"

Pietro Senaldi
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Come andrà a finire, nessuno può saperlo, perché «siamo in una fase di estrema debolezza collettiva nella quale si scontrano gli interessi di molte forze diverse e nessuna in condizioni di dettare l'agenda». Perché si è arrivati a questo punto invece è chiarissimo. Non è tutta colpa solo di Renzi, «anche se è vero che il suo operato non è rettilineo ed è razionalmente difficile da spiegare» e neppure del Pd, «che per scelta si è nascosto troppo dietro a Conte, tanto da venirne un po' oscurato». Ma neppure è tutta colpa del premier, «che, forte del consenso cresciuto nella prima fase della pandemia ha provato a tagliare fuori i partiti e dialogare direttamente con il popolo e le categorie sociali, durante gli Stati Generali, o del centrodestra, «che ha davanti a sé un'autostrada spianata ma non trova il telepass per poterla percorrere». La crisi politica, che piove sull'Italia ferita da una crisi sanitaria di cui non si vede l'uscita e agli inizi del capitolo più drammatico di una crisi economica che dura da dodici anni e della cui portata e gravità sugli anni a venire nessuno ha la percezione, «nasce semplicemente dal fatto che il governo, andato in vacanza a giugno, ha progressivamente rallentato il passo fino a raggiungere l'attuale stato di immobilismo, e a quel punto ne sono emerse tutte le inadempienze». Ogni giorno ha il suo scenario, la politica si muove a scacchiera. Forza Italia pareva un ectoplasma e oggi è più corteggiata di Chiara Ferragni, il Pd passa dalla sala mortuaria a essere l'architrave del sistema, Conte un giorno è un ducetto che detta le condizioni e quello dopo un naufrago che cerca una scialuppa. Questa crisi potrebbe rivelarsi una maratona capace di stroncare anche il re delle maratone politiche, il direttore del TgLa7, Enrico Mentana, che nei giorni caldi, quando i palazzi romani brulicano di aspiranti responsabili e si sprecano mirabolanti promesse, apre consultazioni parallele nel suo salotto televisivo, ospitando colleghi di ogni natura e opinione. Chi vincerà? Che pensa ma non dice Mattarella? Forza Italia tiene? Qualcuno davvero sa chi è Ciampolillo?

È vero che la crisi è partita perché il governo si è fermato, ma non era inevitabile che la maggioranza dovesse fare prima o poi i conti con l'anomalia Conte?

«Un vaso di coccio diventato deus ex machina. Non va disprezzato, significa che ha qualità che erano state sottovalutate. La prima fase della pandemia gli ha regalato un'immagine vincente, dandogli una spinta fortissima che lo ha portato a osare e a giocarsela come leader di una forza politica, portando avanti una sua squadra, Arcuri e altri suoi fidati, fino al progetto di far gestire gli aiuti dell'Europa da un team di commissari di nomina presidenziale, che ha contrariato tutti i partiti. Poi Renzi ha esplicitato il dissenso, diversamente dagli altri».

E si è condannato a morte?

«Chi può dirlo? Certo, i ruoli ora sembrano ribaltati e il vero oltranzista pare Conte, che ha posto il veto sull'ex rottamatore fiorentino, altrimenti forse la crisi sarebbe già in via di soluzione».

Al Pd non converrebbe assecondare Renzi e sacrificare Conte, che se fonda un partito ruba voti proprio ai dem?

«Al cuor non si comanda. Una parte della sinistra è innamorata di Conte, che ha fregato prima Salvini e ora forse Renzi. Penso a Bersani, che è uno che la sa lunga. Certo, alla lunga nessuna coalizione può però legarsi alla sorte di un singolo, che per di più non fa parte di una forza politica. Morire o sopravvivere per Conte è un discorso che si è aperto legittimamente all'interno del Pd, specie a questo punto della legislatura, quando ciascun partito e ciascun parlamentare cominciano ad agire in base alle strette convenienze individuali».

Il Pd è diviso per assenza di leadership?

«Questa è stata la forza di Zingaretti, non prendere decisioni e far rifiatare tutti dopo la leadership muscolare di Renzi, usando l'era Conte per rafforzarsi in Europa all'ombra del premier con la filiera Gentiloni-Sassoli-Gualtieri. Ora siamo al rovescio della medaglia: Renzi sta tentando il Pd con l'offerta della testa di Conte, i dem tentennano e il risultato è l'inerzia».

Ma Renzi ha torto o ragione?

«Matteo, con Grillo, ha promosso il secondo governo Conte. Dovevano sedersi a tavola in tre e mezzo: M5S, Pd, Leu e Renzi, che poi ha esplicitato l'accordo uscendo dai dem. Ma i calcoli erano sbagliati e grazie alla pandemia è spuntato un quinto commensale, il premier, che mangiava più di tutti e la maggioranza è diventata un pentapartito. A quel punto c'è chi ha detto no, basandosi su argomentazioni solide, perché davvero nel governo non c'era collaborazione e mancava un piano di investimento dei soldi europei».

È migliorato il Recovery Fund grazie a Renzi?

«Il piano europeo si chiama Next Generation, ma per i giovani è prevista una sola cosa, il debito da pagare. Non c'è una riga sui meccanismi per farli entrare progressivamente nel mondo del lavoro. In questo senso siamo in linea con la risposta che la politica diede alla crisi del 2008: pensare a salvare capra e cavoli oggi e rinunciare al futuro. La politica è appassita, bruciata dal presentismo della società. Le grandi promesse sono al capolinea e chi parla di ideali oggi risulta esotico».

Eppure si parla di nuovo Piano Marshall

«Sono andato a rivedermelo. Al governo italiano fu richiesto di stendere in poche settimane l'equivalente del Recovery Plan. Eppure fu scritto con visione e rigore da un ministro oggi dimenticato, il socialdemocratico Tremelloni, supportato dallo studioso cattolico Saraceno. Quel piano fu perfettamente rispettato, e fu indispensabile per il nostro rilancio. Di lì a poco ci fu il piano casa di Fanfani, e poi all'inizio degli anni Sessanta le riforme del primo centrosinistra, la Nota Aggiuntiva di La Malfa, il documento di programmazione di Ruffolo. C'era visione, idea di futuro».

Altri uomini?

«Altri partiti. Quelli attuali non sono proiettati verso il futuro. Infatti oggi basta un leader per fare un partito. Il caso Conte è emblematico: prima arriva la sua affermazione come leader e poi, forse, il partito».

È successo anche alla Meloni?

«La Meloni è, con Conte, l'unica a cui converrebbe oggi andare al voto. Sono i soli a crescere».

Gli italiani però non vogliono andare a votare

«A questo punto in tanti sarebbero contenti se governassero tutti insieme: si farebbero più cose e forse il Paese si cementerebbe».

Ma è colpa della Meloni se questo non succede?

«Perché colpa? Lei oggi ha il vento in poppa e da quando la Lega è all'opposizione ha riconquistato il ruolo di destra del Paese, che durante il governo gialloverde le era stato sottratto da Salvini, il ministro che bloccava le navi di immigrati. E poi è riuscita a farsi eleggere presidente dei conservatori europei, un gruppo parlamentare molto importante; il che significa che ha una strategia».

Mi sembra di capire che vedi le quotazioni di Salvini in ribasso

«La Lega resta, per distacco, il primo partito del Paese ma in questo momento pare aver esaurito la propria capacità propulsiva. La forza di Salvini è saper affrontare e cavalcare le pulsioni immediate: ordine, tranquillità, stop ai migranti, sicurezza. La pandemia ha scompaginato le gerarchie e urge rinnovare il repertorio».

Tutto qui?

«Non ha retto il progetto di Lega come grande partito nazionale unitario del centrodestra, perché è mancata una pars construens e perché se tendi troppo l'elastico, le parole d'ordine della politica non reggono, non puoi coprire tutto».

Sei severo, io vedo i cinquestelle ben più in crisi di Salvini. Nati incendiari, sono diventati pompieri già in fasce. Altro che pentapartito, ora Grillo avallerebbe un deca-partito pur di non votare

«I grillini sono trasfigurati, ma facendolo hanno anche rinunciato a tutti quei dogmi per cui venivano criticati, l'uno vale uno, il rifiuto di alleati, l'anticasta e via L'hanno fatto più in ossequio al principio della convenienza che a una conversione ma mi sento di dire che nei grillini c'è di tutto».

M5S è stato il partito più votato dai giovani: non arriva proprio dai grillini il tradimento delle future generazioni?

«I giovani sono le grandi vittime di questa crisi e delle precedenti ma il reddito di cittadinanza, ovverosia la sussistenza come programma politico, non è la risposta ai loro problemi. Ha fatto breccia dove mancano prospettive e speranze ma non per esempio a Milano, la città dei giovani, la metropoli più aperta, la New York d'Italia».

Dove va forte la Lega

«Non a Milano, perché nelle città dove si sta bene la sinistra tiene; ma senza dubbio la Lega beneficia della grande delusione del Nord nei confronti della sinistra».

Sentire il sindaco Sala paragonare Greta Thunberg ad Anna Frank mi fa dubitare che Milano e la sinistra meneghina stiano così bene, non credi?

«È una frase sconcertante. Penso che Sala volesse ribadire la sua svolta molto verde per la campagna di riconferma a Palazzo Marino. Certo oggi l'ambientalismo è un tema più laterale».

Ma il punto non è l'ambientalismo

«Diciamo che un'uscita così in bocca a una persona capace e sensata come Sala è il simbolo delle difficoltà della politica. La pandemia ha azzerato il dibattito, è come una safety car che entra a metà Gran Premio e mette in fila tutti; dopo un po' i piloti non sanno più cosa fare per farsi notare e iniziano a zigzagare pericolosamente».

È colpa anche di noi giornalisti che non li sappiamo rimettere in carreggiata?

«Dovremmo essere più severi con i politici. Pretendere di più. La verità è che siamo tutti spaesati». La politica oggi la fanno i social, che censurano presidenti, leader e messaggi? «I social accompagnano la politica. Sono un megafono. Se hai un bello slogan, funzioni. Favoriscono le leadership senza contorno. Sono un po' come l'informazione web, edulcorata e con poco controllo».

Twitter che censura Trump, e perfino Libero. Facebook che zittisce Osho per sbaglio. Tu definisti webeti gli utenti dei social, non è che ora sono diventati webeti i social?

«Se si guarda le pagine ufficiali dei leader politici c'è da vergognarsi: i cittadini vengono trattati da minus habens. Per aumentare la penetrazione ci si abbruttisce e si abbassa il livello».

Cosa mi dici della censura?

«Certe piattaforme ormai contano più dei governi, ma è proprio qui che deve intervenire la politica. I social non possono essere i padroni del dibattito pubblico e se lo Stato è troppo debole per evitarlo, bisogna operare come comunità internazionale. È importante farlo perché Twitter ormai è la miglior agenzia d'informazioni al mondo, tutti ci mettono su le loro notizie».

 

 

 

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