Cerca
Cerca
+

Tangentopoli, l'imprenditore che denunciò Mario Chiesa: "Ho avviato Tangentopoli e mi sono rovinato"

Giovanni Terzi
  • a
  • a
  • a

 Il 17 febbraio del 1992, con l'arresto di Mario Chiesa in flagranza di reato, cominciava Tangentopoli. Era un lunedì pomeriggio, l'inizio di una vicenda che trasformò completamente la politica, e quindi la società italiana. Sono passati quasi trent' anni da quel giorno, tutti conosciamo il nome di quel giudice a capo del pool Mani Pulite, Antonio Di Pietro. Ma per comprendere la spinta popolare che caratterizzò e sostenne quel momento storico, mi piace ricordare un estratto dell'intervista realizzata dal direttore Vittorio Feltri, e comparsa sul giornale "L'Indipendente " il 5 giugno del 1992, al magistrato molisano. Scrisse Feltri: «... e la gente, la quale, come pensano i politici, non capisce niente ma, contrariamente a quanto pensano i politici, intuisce tutto, ha intuito anche questo: che Di Pietro è uno sgobbone, uno che ci dà dentro, uno che va avanti per la sua strada anche se la strada non c'è, una persona che si muove in un ambiente, quello dei partiti, che di serio ha solamente la disonestà. Signor giudice. è consapevole della simpatia, della stima che la circondano?

"So che c'è ansia di chiarezza, un profondo desiderio di moralità; e questo incoraggia chi fa il mio mestiere"». Ecco che cosa animava quel periodo storico: il desiderio di chiarezza rispetto a un mondo, quello politico, che stava da troppo tempo dimostrando una protervia insopportabile. E fu proprio la protervia, la mancanza di rispetto e, oserei dire, la maleducazione che hanno poi fatto decidere un giovane imprenditore, Luca Magni, di denunciare, facendolo per l'appunto cogliere in fragranza di reato, il presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa.

Dottor Magni, con la sua denuncia partì l'inchiesta "Mani Pulite". Era consapevole dell'importanza di quel suo gesto?
«Avevo trentun anni e pensavo semplicemente di fare qualcosa di giusto, ma non prevedevo minimamente tutto ciò che sarebbe accaduto dopo».

Lei, o meglio la sua società di pulizie, all'epoca lavorava per il Pio Albergo Trivulzio: come arrivò a quell'incarico?
«Avevo lavorato per un po' di tempo come funzionario tecnico di una società legata a Unilever, che aveva inventato un sistema di pulizia per ospedali molto avanzati. Le vendite erano importanti, noi prendevamo in gestione un reparto-campione per uno o due mesi, dopodiché la direzione sanitaria decideva se quel procedimento di sanificazione e pulizia poteva andar bene per loro».

Fu lì che conobbe Mario Chiesa?
«In realtà lo conobbi qualche tempo dopo, quando misi a punto la mia società. A Chiesa fui introdotto da chi era il mio capo precedente».

Come fu il suo incontro con il presidente del Trivulzio?
«Devo dire che il Pio Albergo Trivulzio, quando lo vidi la prima volta, era in uno stato di degrado assoluto. Ho il ricordo di alcuni vecchietti seduti su una sedia in uno stanzone mal tenuto, che guardavano una televisione non funzionante».

Una brutta situazione, quindi.
«Bruttissima. E Mario Chiesa stava davvero ristrutturando e riportando al giusto decoro quel luogo simbolo per la città di Milano. Insomma, devo ammettere che stava facendo un buon lavoro».

E dunque che cosa accadde?
«Venni chiamato dalla sua segreteria, perché mi veniva affidato un appalto di 140 milioni di lire. Andai da lui in ufficio e mi disse subito che il dieci per cento doveva essere a lui versato».

Rimase colpito?
«Molto, per i modi così immediati. Ma soprattutto rimasi esterrefatto da come costantemente la sua segretaria, la signora Stella (a cui furono trovati 13 miliardi di lire nella cassaforte), mi spronasse a versare quella tangente».

Mi spieghi.
«Mia sorella era ricoverata in ospedale perché stava male, io passavo le giornate accanto a lei ed ero molto preoccupato. Stella continuava a chiamarmi per ricordarmi di pagare la tangente. Era pressante e insistente in un modo davvero fuori luogo. Inoltre il Pio Albergo Trivulzio pagava con grande ritardo. Ma la cosa che più mi diede fastidio fu l'arroganza di Mario Chiesa».

In che senso? Mi faccia un esempio.
«Quando passava nei corridoi trattava sempre male chiunque, dagli operai agli infermieri. Era come se sentisse il bisogno di esercitare la propria supremazia attraverso la maleducazione».

E fu per questo che decise di denunciarlo?
«Assolutamente sì. Inoltre aggiunga che la mia provenienza familiare era di una famiglia molto ligia alla moralità. Così mi diressi verso il comando dei carabinieri di Milano, in via Moscova, e davanti al comandante Zuliani raccontai della richiesta di tangente».

E dopo?
«Arrivò il 17 febbraio, giorno in cui era si era deciso il blitz. Mi portarono da Antonio Di Pietro, in tribunale a Milano, dove rimasi solo con lui per confermare la mia denuncia».

Com' era Di Pietro?
«Molto digitalizzato, allora non era così comune. Aveva al suo fianco un fascicolo pronto su Chiesa e fu gentile e rassicurante, in quanto era palpabile la mia agitazione»

C'era stata la denuncia della ex moglie contro Chiesa.
«Sì, anche quell'aspetto fa comprendere l'arroganza e la prepotenza di Chiesa».

Dopodiché che cosa accadde?
«Andammo a segnare le banconote in via Moscova, mi misero il microfono e mi prepararono per cogliere sul fatto il presidente del Trivulzio. Partimmo in macchina in quella missione che era chiamata "Mike Papa", e il carabiniere al mio fianco aveva il nome di missione "Lupo"».

E quando arrivaste al Pio Albergo Trivulzio?
«Chiesa mi fece aspettare un'ora e mezza. Poi entrai nella sua stanza e diedi sette dei quattordici milioni pattuiti. Gli dissi: "Presidente, io così non posso andare avanti"».

Chiesa che cosa rispose?
«Anche la sua reazione mi colpì tantissimo: come se nulla fosse prese i soldi e commentò "quando mi porta gli altri?". È a quel punto che intervenne Lupo, gli disse di ridare i soldi che non erano suoi. Mario Chiesa andò in bagno e, si dice, si sbarazzò di altre mazzette, ma venne arrestato».

Come visse dopo quel momento, che ora si può definire storico?
«Mi ero liberato di un peso grande sulla coscienza ed ero contento. Improvvisamente ero diventato il centro di ogni trasmissione televisiva. Ma il lavoro calò vertiginosamente».

Perché?
«Perché non ero più considerato affidabile. Passai da fatturare più di un miliardo di lire a nemmeno cento milioni. Decisi così di chiudere l'azienda».
 

Lo rifarebbe, alla luce di ciò che le è accaduto?
«Sì, mille volte. Ma forse starei più attento e, quantomeno, mi costituirei parte civile per avere ciò che mi spettava economicamente in sede civile».

Lei ha più rivisto o sentito Mario Chiesa?
«Mai. Solo una volta venni chiamato dalla Guardia di Finanza e mi spaventai. Aspettai due giorni, e quando andai nella loro sede mi dissero che Chiesa mi aveva denunciato per delle mie affermazioni su un giornale».

Come andò a finire?
«Venne tutto archiviato».

Adesso come vive?
«Con mia moglie ed i miei tre figli. Due anni fa ho rischiato di morire a causa di un infarto, fumavo troppo».

E il lavoro?
«Ho una impresa di pulizie nuova che sta andando bene».

Ha rapporti con gli enti pubblici?
«No, lavoro solo con i privati. Almeno questo l'ho capito».

Dai blog