Matteo Strukul l'autore bestseller che conquista il mondo con la Storia
Non frequenta i salotti letterari, è un ex rockettaro amante di Salgari, col nuovo libro è già in classifica. Ma i critici togati lo snbbano
Il passato è davvero una terra straniera. “In Italia, paradossalmente, c’è più il culto dell’oblio che quello della memoria. La mia saga porta l’orologio indietro. Il romanzo storico è utile perché ci aiuta a capire chi siamo e da dove veniamo, riproponendo modelli lontani che, chissà, potrebbero andar bene anche oggi”.
Quando Matteo Strukul - barba, baffi e capelli da moschettiere, tutti scarmigliati dal libeccio del passato- discetta del genere letterario che l’ha reso un formidabile bestsellerista; be’, il tono di voce è quello assertivo di un personaggio di Dumas (che tra l’altro è un suo mito personale assieme a Tim Willocks). Soltanto l’inflessione tradisce l’origine di Padova. Ossia la città dove è nato, dimora e scrive e sogna sin da quando il padre, insegnante di chimica inorganica all’Università Ca’ Foscari lo nutriva con l’Iliade e i libri di Emilio Salgari. Matteo Strukul, classe ’74 è uno strano tipo di scrittore. Se fosse nato in Spagna, Strukul sarebbe Arturo Perèz Reverte; e con tutto il suo carico di spade amori e avventura avrebbe programmi televisivi tutti suoi, sarebbe coccolato dai salotti letterari e citato come una delle menti migliori della sua generazione. Invece. Invece, nonostante abbia vinto un Bancarella e faccia numeri mostruosi per generazioni di lettori (800mila copie vendute, traduzioni in 30 paesi, una saga, quella de I Medici, divenuta punta di diamante del romanzo storico italiano), lo scrittore è ancora trattato come un drop out della narrativa, una specie di figlio della serva del panorama editoriale. Non che non ne riconoscano i meriti. Per carità. Ora è uscito col suo nuovo romanzo, La corona del potere (pp. 512, 9,90 euro, Newton Compton): un’opera possente che scivola tra le usurpazioni di Ludovico il Moro a Milano e le amanti di Rodrigo Borgia eletto Papa a Roma, tra i sermoni apocalittici del Savonarola a Firenze e Carlo VII che marcia su Napoli e che “prosegue la serie inaugurata da Le sette dinastie, racconta le vicende delle 7 famiglie e delle città che si contendono il potere”, scrive la sinossi. E nelle redazioni dei giornali c’è sempre il massimo rispetto per quest’artigiano della penna che ai tempi dell’università cantava e suonava l’armonica nella band Gli Stregoni delle Scoffera e che ora di mestiere, di fatto, fa il buttadentro nelle librerie di lettori disillusi. E lo fa calando gli stessi lettori nelle caligini quasi gotiche, erotiche e sanguinarie del nostro Rinascimento. “Senza dubbio c’è un sentimento di rivalsa, quasi insito nel romanzo storico, e dunque anche nel lettore” dice Strukul in un’intervista al Messaggero “ma è pur vero che non ci sono così tanti romanzi legati a grandi periodi storici italiani. Valerio M. Manfredi o Marcello Simoni, ad esempio, offrono un grande contributo, ma non vedo molti autori italiani dedicare pagine e tempo allo splendore del passato”. E ha ragione. Ma la critica togata continua con lui -come per il collega Marcello Simoni, meno per Valerio Massimo Manfredi- a restare tiepidina. Perché?
Credo che i motivi siano essenzialmente due. Il primo è che Strukul scrive per Newton Compton, casa editrice storica che è una macchina da guerra nel vendere, ricercare, testare, pubblicare e lanciare autori seguitissimi. Ma che, nonostante i successi, è sempre stata considerata molto pop (ad occhio, si sono accorti della sua produzione formidabile quando è stata acquisita al 51% dal gruppo GeMs) . Il secondo motivo della diffidenza degli addetti ai lavori verso Strukul è Strukul stesso. Un po' come Andrea Vitali, Strukul è figlio della provincia padana. Non frequenta i premi fighetti, non veste firmato, è allergico alle spiagge di Capalbio preferendo i lidi di Jesolo, non evoca né Scurati né Baricco. E’ laureato in giurisprudenza (la facoltà più arida del mondo) ma, seguendo il sentiero delle pandette e della fiaba, ha ottenuto prima un dottorato sul diritto comunitario, e poi un altro sui fratelli Grimm a Marburg. E’ un rockettaro con la passione per Don Chischiotte, le spade di Toledo e Caterina de Medici ma è pure direttore artistico del festival internazionale del romanzo storico Chronicae. Nella sua stessa ascendenza alberga il profumo della storia mitteleuropea, “il mio antenato Strukul era un ufficiale dell’Impero austro-ungarico, durante la dominazione ha generato una stirpe in Italia. Veniva dalla Transilvania ungherese. In quelle zone ti sembra di essere entrato nel 500, pastori, carri, cavalli muli branchi di oche. Mi piacerebbe comprare una fattoria lì…” confessò lo scrittore al Venerdì. Riuscireste a immaginare uno Strukul candidato allo Strega?