Alberto Zangrillo e il ragazzo salvato nel Naviglio: ciò che non sapevate su un prof fuori dall'ordinario
Quando a settembre Silvio Berlusconi si è ammalato di Covid-19, si è verificato un caso eccezionale nella storia della medicina: l'attenzione si è spostata con sadica soddisfazione sul dottore del pur famosissimo paziente. È successo quello che in troppi speravano: Alberto Zangrillo, primario dell'unità di Anestesia e rianimazione generale del San Raffaele, da sempre medico personale di Silvio, si è ritrovato con il suo paziente più celebre colpito da quel virus di cui, pochi mesi prima, aveva decretato la morte clinica in televisione. Gli odiatori del professore - che hanno addirittura superato per numero e violenza verbale i detrattori del Cav - sogghignavano da tutti i social, infilzavano Zangrillo come un san Sebastiano, con frecce cariche di odio e di insulti.
Per loro la malattia di Berlusconi è diventata la materializzazione plastica della sua sconfitta. In pochi minuti il primario è stato trasformato dal web nel simbolo dei negazionisti perché, ospite di Lucia Annunziata, a fine maggio aveva detto con voce sicura: «Il virus è clinicamente morto». Una frase che per molti fu una boccata d'aria dopo mesi di reclusione in cui il futuro era stato cancellato dai nostri pensieri e pure dai nostri verbi: parlavamo al presente o al passato perché quello che sarebbe stato non osavamo neppure pensarlo. Per i negazionisti le parole di Zangrillo diventarono invece un vessillo da sbandierare, uno slogan da ripetere in tutti i luoghi e in tutti i modi, modificato, travisato, semplificato fino alla degenerazione ultima di quello scarno "Non c'è n'è Coviddi" urlato sguaiatamente sulla spiaggia di Mondello dalla sconosciuta signora Angela, diventata star di Instagram in poche ore. Zangrillo è stato eletto - suo malgrado - paladino di tutti quelli che erano alla ricerca di un appiglio scientifico per togliersi la mascherina e tornare ad assembrarsi in libertà. Il primario ha ammesso di aver sbagliato il tono di quella frase, ma non l'ha mai smentita perché in quel momento, sulla base di una ricerca del San Raffaele, emergeva che tra marzo e maggio la quantità di virus presente nei soggetti positivi si era ridotta notevolmente.
NIENTE TERRORISMO
Molti hanno capito il senso delle sue parole - né terroristiche né negazioniste - e per questo hanno cominciato a sostenere il prof. Su Facebook, accanto a quelli che "usano" Zangrillo per negare il virus, ci sono migliaia di persone che lo hanno scelto come riferimento perché "non mette ansia", "non fa terrorismo", "è il più bravo di tutti" e perché "dice le cose come stanno". In tanti lo strappano dalle grinfie di chi gli butta addosso la croce della seconda ondata facendo notare che se i casi stanno aumentando non è certo per la frase di Zangrillo, ma perché il governo ha sprecato il vantaggio ottenuto durante i mesi estivi - frutto del lockdown più lungo di tutti gli altri Paesi - senza incrementare i mezzi di trasporto (abbiamo visto tutti bus e metro pieni di studenti e lavoratori), senza accelerare le procedure per i tamponi (ci sono code lunghe come sull'Adriatica il 31 di agosto). Per i sostenitori di Zangrillo la nuova ondata ci trova impreparati perché in estate il governo non ha avviato i bandi per potenziare gli ospedali con letti per le terapie intensive e ventilatori, ma ha solo gongolato per i risultati ottenuti fino a quel momento.
Durante l'emergenza Zangrillo ha visto personalmente ciascuno dei 1200 malati di Covid-19 curati al San Raffaele e ha lavorato notte e giorno nelle cinque rianimazioni dell'ospedale. Il virus lo combatte ogni giorno in corsia, lo vede sulle facce sofferenti dei pazienti, lo sente dal respiro sempre più corto di quelli che finiscono nella sua terapia intensiva e, in contatto costante con la direzione scientifica dell'ospedale, si aggiorna sui risultati dei nuovi studi. Sempre in prima linea. Da due anni è tra i primi dieci medici al mondo per numero di studi sull'anestesia e sulle cure intensive, autore di 800 pubblicazioni di cui oltre 380 su riviste internazionali citate più di 9mila volte, ha scritto 40 titoli tra monografie e libri; ha svolto attività di ricerca sul cuore artificiale, sul trattamento dello scompenso cardiaco, sulle terapie anticoagulanti alternative, sul trattamento dell'infarto miocardico e in tantissimi altri campi; i presidenti Ciampi e Napolitano gli hanno conferito il titolo di Cavaliere e di Commendatore della Repubblica; per due volte Silvio Berlusconi gli ha chiesto di diventare ministro della Salute ma lui ha sempre rifiutato preferendo la medicina alla politica. Come si legge dal suo curriculum Zangrillo è tante cose, ma per tutti è semplicemente il medico di Berlusconi.
«La tua mano è stata l'ultima ad afferrare quella di mia madre e adesso tiene la mia», molti dicono che Silvio si sia affidato alle sue cure dopo averlo visto in azione accanto a sua madre Rosa, altri riferiscono che sia stato Pier Silvio più di vent' anni fa a chiedergli di occuparsi della salute del padre, certo è che Berlusconi il medico poi non l'ha più cambiato. I due sono intimi, tuttavia si danno del "lei". Il Cav lo chiama "Alberto", Zangrillo si ostina a rispondergli "presidente" e più di una volta ha detto che non vuole unirsi alla corte già affollata degli adulatori. Schopenhauer diceva che il medico vede l'uomo in tutta la sua debolezza, l'avvocato in tutta la sua cattiveria, il teologo in tutta la sua stupidità. Ecco, Zangrillo è il prescelto, quello davanti al quale Berlusconi mostra la sua fragilità, il cuore che ha bisogno di un pacemaker, la vista che si appanna, il menisco che cede agli anni, chissà cos' altro ancora, fino al virus maledetto che gli ha preso i polmoni a 84 anni.
LA STATUETTA
C'era Zangrillo la sera del 13 dicembre 2009 quando Massimo Tartaglia scagliò una statuetta contro Silvio e lo ferì al volto. C'era il 14 giugno del 2016, quando il leader di Forza Italia fu sottoposto a una delicata operazione al cuore, e c'è ogni volta che Berlusconi entra al San Raffaele per un intervento chirurgico o solo per un controllo. Ed è lui, con il camice bianco e il volto scuro e tirato, ad affrontare l'orda di giornalisti assiepata sotto l'ospedale per informarla della salute di Berlusconi. Nessun altro invade il corpo di Silvio. Della vita privata del professor Zangrillo che, tra le altre cose, è pro-Rettore dell'Università Vita-Salute, si sa davvero poco. Ha 63 anni, tre figlie, ama tornare a Genova, che ha lasciato per studiare Medicina a Milano, e camminare tra i carruggi nel silenzio della sera o andare allo stadio a tifare Genoa.
Dopo la laurea e la specializzazione a Milano ha proseguito gli studi in importanti centri europei, il Queen Charlotte Hospital di Londra, l'Hospital Santa Creu i Sant Pau di Barcellona, il Cardiothoracic Centre del Principato di Monaco, l'Hetzer Deutsches Herzzentrum di Berlino, poi è arrivato al San Raffaele e non è più andato via. Se il paziente Berlusconi gli ha dato fama e visibilità, la più grande soddisfazione professionale gli è arrivata da Michi, un ragazzino che nel 2015, all'età di 14 anni, si tuffò nel Naviglio di Milano e rimase intrappolato sott' acqua a più di due metri di profondità per oltre 43 minuti. Quando venne tirato fuori dai vigili del fuoco era in arresto cardiaco. Michi aveva una possibilità su un milione di salvarsi. «Di solito, quando l'arresto cardiaco è superiore ai sei minuti bisogna constatare il decesso. Se avessimo seguito pedissequamente le procedure, Michi sarebbe morto». Zangrillo osò, spostò più in là i confini della scienza e si lanciò in quell'impresa che ha del miracoloso. Michi si salvò.