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Coronavirus, Carlo Cottarelli: "L'effetto della paura dei contagi in Italia? Bruciati 5 punti di Pil, in Germania solo uno"

Carlo Cottarelli

Francesco Specchia
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Carlo Cottarelli - nonostante abbia le diottrie d’un falco - vive il Fato dell’indovino cieco Tiresia. Cremonese, classe ’54, docente bocconiano, nemesi delle pubbliche amministrazioni, l’economista più appealing d’Italia, è condannato a disseminare profezie oracolari in tv. Ma, dopo una vita tra formidabili incarichi istituzionali -dal Fondo Monetario Internazionale a revisore della spesa a premier incaricato per un giorno- egli, dal suo Osservatorio dei Conti pubblici italiani della Cattolica lancia segnali, moniti e proposte che la politica non ascolta. Tiresia, in un paese di ombre vaganti.

Caro professor Cottarelli, rapporti sempre più allarmati (ultimo quello dell’Inps col bilanci a meno 26 miliardi) dicono che il Covid stia lasciando segni profonsissimi sull’economia. Le risulta?

«Non c’è dubbio. Abbiamo fatto uno studio la gravità delle recessioni da Covid nei vari paese. I fattori sono molteplici: l’intensità e la durata dei lockdown, l'importanza di settori colpiti (ad esempio il turismo, la manifatTura regge), la situazione economica precedente. E l’effetto “paura” del contagio: dove il numero di morti è stato alto, le gente ha deciso da sè di limitare le proprie attività e i consumi di fronte alla pandemia»

Non capisco se in termini economici questo sia preoccupante o no

«Secondo le stime econometriche dell’Osservatorio Conti pubblici, in Italia avremmo perso circa 5 punti di Pil solo per la paura, la Germania solo 1. La conclusione è il buon senso, l’economia ne risente se la salute non va bene: ok i lockdown, ma con moderazione. Ma siamo comunque lontani dai record degli Usa dove si è perso il 25% del Pil (da noi è stato dell’11%)»

Il ministro Gualtieri preannuncia altro deficit nel Def per 25 miliardi, 15 dei quali da prendere a fondo perduto dal Recovery Fund (sempre che i paesi frugali e di Visegrad siano d’accordo). Ancora deficit fa bene?

«In questo momento, purtroppo non si può fare altro che deficit, e il deficit porta debito. Ma è anche vero che mai come in questo momento noi siamo coperti dalle istituzioni europee. L’inflazione è bassa, è poca la domanda, e la banca centrale sta facendo man bassa dei nostri titoli di Stato»

Mi sta dicendo che l’Europa non è matrigna e che la Bce, in fondo, ci sta facendo un favore?

«Veda lei. Quest’anno la Bce ci acquisterà debito per 170 miliardi, conti poi una cinquantina di miliardi di titoli già detenuti. Poi ci sono i fondi del Recovery, del Mes. Siamo coperti almeno fino a metà dell’anno prossimo. Il fabbisogno lordo di finanziamento, al somma del deficit e dei titoli in scadenza dovrebbe essere coperto dalla Ue, con tassi di interessi onestamente avvicinabili. Le matrigne direi che sono diverse»

Cioè: la Ue ci riempie di soldi ma il problema è come li spenderemo, dato che ad ogni centesimo deve corrispondere una riforma strutturale? Banchieri come Corrado Passera hanno molti dubbi. E lei? 

«Pure. Ma bisogna essere ottimisti. Poi, se vedo che non siamo riusciti a mettere mano agli investimenti pubblici già approvati, dalle buche in strada alla sanità alla scuola; be’ comincio a temere sulla nostra capacità di spesa. Anche perché, come dice lei, siamo legati ad un meccanismo di condizionalità dei fondi Ue puntiglioso: prima presenti il piano e poi ti danno un po’ di soldi, poi ci sono le modifiche, e il piano definitivo. Io di tutto questo meccanismo avrei altri dubbi»

Quali, scusi?

«Le condizionalità funzionano solo sulle cose misurabili, su cui hai dati certi, come il debito pubblico o il deficit. Ma, per esempio, nel proporre la riforma di una giustizia più veloce, a quali parametri ci si riferisce? Chi è che decide se e come quella riforma andrà ad incidere sull’economia, il suo effetto? Idem per la riforma della digitalizzazione: come misurarla? Tutto questo per dire che è difficile che ora la Ue ci blocchi l’erogazione dei fondi per riforme non comunque misurabili, sarebbe uno choc»

Mi sta dicendo che i soldi ce li daranno comunque. E noi li spenderemo male?

«Sì. Ma nell’immediato ci sarà un “effetto droga” per cui in un primo momento anche i soldi dati a chi li spreca – che comunque li spende ance se male- riattivano momentaneamente l’economia. Keynes diceva che, in certi momenti, potevi scavare una buca e l’economia ripartiva»

In effetti, il Pil aumenta anche così. Ma non è una logica contorta?

«Certo. Diranno: “Che bello abbiamo aumentato il Pil!”, ma l’aumento è di breve durata, l’economia così non è cresciuta. Invece bisogna pensare al debito buono: a spendere per le infrastrutture, la ricerca, l’università. Ma per farlo bisogna essere capaci»

Lei parlava di John M. Keynes. Che sosteneva l’intervento pubblico nell’economia. Oggi va molto di moda. Lei, per dire, è d’accordo con la Cdp che entra in Autostrade, con il soccorso all’Alitalia?

«No. E Keynes, che non era affatto dell’idea che la proprietà dell’impresa fosse pubblica. Si rileggano la sua Teoria generale dell’occupazione. Sulla partecipazione dello Stato nell’industria, io non vedo un nuovo Mattei. Lo Stato è già inefficente. La creazione di nuove società aumenta solo i poltronifici delle già presenti 10mila municipalizzate. Ammetto che in momenti di crisi lo Stato possa entrare: in America nel 2008/2009 lo Stato privatizzò le banche e l’industria automobilista, ma non deve essere una prassi»

Però, non le possono obbiettare che esistono, specie ora, delle «imprese strategiche» in cui lo Stato deve necessariamente impegnarsi?

«E chi decide quali siano le “imprese strategiche”? Credo esista il pericolo, così, di indirizzare il flusso di denaro verso le solite lobby. E che, per esempio, ci sia un disegno dietro la norma inserita nel Decreto Rilancio che istituisce il cosiddetto “patrimonio dedicato” Cdp, un aiuto per le grandi imprese per dieci mesi con possibilità di proroga automatica senza passaggio parlamentare. Strano per una cosa che dovrebbe essere temporanea, non crede?

Molte cose che non tornano. Penso ai 38 miliardi dei fondi di coesione già allocati che non stiamo sfruttando, scannandoci sui 36 del Mes.

«Il Mes oramai è un battaglia ideologica. É oggetto di molte fake news. tipo quella che se l’accettiamo Francia e Germania saranno autorizzate a metter le mani sui nostri conti pubblici. Fosse per me, lo dovremmo prendere, anche con i tassi di interesse che sono scesi dovevamo farlo prima. Anche se le questioni centrali sono altre»

Altre come la burocrazia, un mostro contro cui, da uomo della spending review lei ha sempre combattuto (perdendo)?

«Vecchia storia. Prenda gli appalti. Per snellire la burocrazia hanno rivisto l’abuso d’ufficio e il danno erariale. Bene. Ma non si è capito che, così, i dirigenti pubblici che prima non decidevano per timore di responsabilità penale, ora non decidono per inerzia. Invece bisogna agire sugli incentivi, pagare di più quelli che fanno bene il loro lavoro. Ci aveva provato Renato Brunetta quand’era ministro della PA, nel 2016, ma gli bloccarono la riforma»

E quindi, qual è la soluzione per far funzionare la Pubblica Amministrazione come un’azienda?

« Se si supera una soglia di ritardi negli adempimenti, le responsabilità è del ministro che paga per i suoi uffici e viene sostituito. Sa quante grida d’aiuto di cittadini disperati arrivano: “ho mandato la Pec, mi riempiono di carta, nessuno risponde al telefono”.

Lei è tranchant. In teoria gli indicatori delle performance dei dipendenti pubblici, ci sarebbero

«Ma sono ridicoli. Sa al ministero della Giustizia qual è il ‘parametro delle durata media dei processi’? Quello dell’anno precedente che era sbagliato, anzi a volte aumentano la durata, invece di diminuirla. Io l’ho fatto presente, ma secondo lei mi ascoltano?»

Vaghi nel suo passato. Ricorda che il suo destino fu segnato quando decise di tagliare le tax expenditures, la selva di deduzioni e detrazioni legate alle singole corporazioni?

«Veramente fu con i tagli alle pensioni. Ne avevo progettato un ricalcolo sulla base del contributo stesso, del reddito, con tagli non oltre il 10%. Mi diedero del matto, e da lì arrivò la fine»

Però ora Conte vorrebbe tagliare Quota 100, roba leghista.

«Benissimo. Se non fosse che pare voglia sostituirla con qualcosa di simile. La vera domanda è : con tutto quello che accade vogliamo davvero immettere altri soldi nel sistema pensionistico? Secondo me, no, meglio pensare prima a robetta, come la scuola, la sanità...». Tiresia, appunto.

 

 

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