Sgarbi in fuga: è suo l'inno del Giro d'Italia
L'editrice produce con gli Extraliscio e firma ala colonna sonora delle corsa rosa 2020
La scena richiama la piccola grande epica della bassa padana: un ragazzino mascherato da formica che inforca la bici alla Sante Pollastri, mentre il mantello lo avvolge nel paesaggio disseminato di boschi e pianure, di salite e discese, di sorrisi sudati e “decine di parole che sgomitano per uscire” come scrive Pacifico.
La scena -un cartoon di Michele Bernardi e Davide Toffolo- accompagna, GiraGiroGiraGi la sigla del nuovo Giro D’Italia 2020 affidato da Rcs Sport alla Betty Wrong Edizioni Musicali, cioè al mondo di Elisabetta Sgarbi. E si trasforma subito in un piccolo capolavoro grafico che comincia a girellare impazzito sui social in attesa della propria personale scalata del Pordoi, ossia il Giro stesso. Sgarbi ha reso la sigla ufficiale della gara -da sempre specchio della nazione- un oleatissimo lavoro di squadra, tutti campioni e tutti gregari. Lo scrittore Gino De Crescenzo/Pacifico, lei stessa e Mirco Mariani ai testi; la voce del Leone d’Oro per il teatro Antonio Rezza ad interpretare a modo suo gli inserti di cronaca sportiva (“Guarda come corrono chiodo foratura/ ghiaccio sulla botta che passa la paura”); il grande illustratore Franco Matticchio strappato a mille Linus alla copertina. Ma sono soprattutto i cantanti ad aprire la strada: gli Extraliscio che mescolano le tonalità della tradizione del liscio romagnolo dei Casadei di cui sono gli eredi, a quelle impazzite del punk. Ne esce un mix tra i racconti di Guareschi, i guizzi di Marinetti e i fumetti di EC Comics ispirati alle fiammate di Ray Bradbury negli anni 50. Cosa c’è, dunque, nella sigla che accompagna la liturgia? “Una banda di paese stralunata suona per le strade d’Italia e anticipa l’arrivo della tappa, il suono dei raggi impazziti avverte la gente che sta per arrivare e quello dei rocchetti sfiniti è un ritmo faticoso e romantico, è un ritmo che GiraGiroGiraGi. Poi una voce megafonata annuncia il passaggio del primo eroe in fuga tra vigneti, salite, discese, rintocchi di campane, grida di gioia e trombette! Perché è una grande festa, è una grande gioia per tutta l’Italia e il suo Campione!”, così affermano gli Extraliscio ammiccando all’epos del Giro. Sgarbi -alias Betty Wrong- li ritiene nomadi musicali, artisti estranei alle logiche commerciali, con lo spirito del sogno e del sacrificio buttato al di là della ruota della bicicletta. E un po’ ha ragione.
Il Giro è il Giro: lì si trovano a loro agio. Il Giro è l’avventura di uno sport che più di ogni altro ha descritto la nostra Chanson de Geste con i suoi cavalieri in maglia rosa su destrieri di acciaio e pedali; e che sempre recupera il sentimento errante dell’unità d’Italia oltre i mille campanili, le dittature, le cadute e la rinascita dopo la guerra. Basta rilleggersi le cronache di Orio Vergani (“Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l’immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali a sfiorare valli e monti?”) e Montanelli, di Pavolini e Venturi, di Testori, Buzzati, Zavoli, Arpino. Basta riascoltare Paolo Conte che tratta Bartali come un Lancillotto mentre porta sconquassi tra le linee dei franchi; o Enrico Ruggeri che racconta la testardaggine di Gimondi nell’incollarsi alla scia di Merkx (“ancora più solo di prima c’è già il Cannibale in cima/ed io che devo volare a prenderlo”); o Baccini che canta il destino degli eroi irrealizzati alla Pantani. Il Giro è il Giro…