Massimo Cacciari a Pietro Senaldi: "Solo uno choc elettorale ci salverà, M5s e Pd due personaggi in cerca d'autore"
Cara Italia, non c'è da stare allegri. Il professor Massimo Cacciari svolge da tempo il ruolo di Cassandra del Paese ma le sue profezie non si devono a percezioni extrasensoriali. Il risultato disastroso scaturisce da una somma di addendi negativi, che fotografano, senza sconti ma neppure forzature, la situazione italiana. Il modo di parlare assertivo e burbero non deve trarre in inganno. Cacciari non è un disfattista, e neppure un pessimista di professione. C'è stato un tempo, ormai quasi una trentina d'anni fa, in cui intravedeva una via di salvezza per il Paese. Era federalista ed europeista, e lo è ancora, «ma sono il federalismo e l'europeismo che non hanno mantenuto le promesse» chiosa il barbuto filosofo, che guardando le spoglie mortali del governo Conte si chiede: è meglio che cada, o è meglio che non cada?
Si dia la risposta, professore
«Mica facile. Le cose non vanno e la situazione è bloccata, questo è evidente, però se salta tutto potrebbero sempre peggiorare, come è accaduto inesorabilmente negli ultimi vent' anni».
Cosa non funziona?
«L'unico progetto è la gestione dell'emergenza e l'unica strategia è il rinvio. Fino a poco tempo fa sembrava che l'Italia non potesse sopravvivere senza le riforme, oggi l'argomento è sparito. L'emergenza sanitaria è stato il solo collante della maggioranza e ora il governo la proroga per giustificare la propria esistenza in attesa di sostituirla con l'emergenza economica, alla quale seguirà quella sociale e così via, in una sospensione continua dello Stato, che è anche etimologicamente l'opposto dell'emergenza. La stessa espressione stato d'emergenza è una contraddizione in termini, come la dittatura democratica, perché dove c'è l'una, non c'è l'altra».
Ma secondo lei il governo è alla paralisi perché non sa cosa fare o perché è diviso sul da farsi?
«Entrambi i fattori. Il governo non è in grado di programmare e agire perché è troppo fragile. Sopravvive per mancanza d'alternative, ma è evidente che manca un leader che tiene il timone, come lo erano Berlusconi o Renzi».
Non li rimpiangerà mica?
«Non loro, ma la situazione di governo. L'Italia oggi è in una situazione simile alla Germania dopo la riunione, solo più drammatica. Il sistema è al collasso e servirebbe una grande coalizione. Tuttavia essa da noi è impossibile. Non solo è debolissimo il governo, perché le forze che lo sorreggono hanno idee ed elettorati diversissimi, ma anche perché queste stesse "forze" versano in una profonda crisi interna. M5S e Pd sono, letteralmente, personaggi in cerca di autore, senza leadership né strategia. Di Maio si è dimesso, Zingaretti non prende il timone. Comunque nessuno ha la statura per egemonizzare la coalizione. Siamo messi malissimo, non ricordo situazioni analoghe dal Dopoguerra».
Sembra di essere tornati ai tempi di Prodi?
«Lasciamo stare Prodi. Lui era un premier autorevole, sapeva dove andare ed è caduto perché dentro la coalizione aveva capre e cavoli. La maggioranza di Conte ha al suo interno capre e cavoli ma in più non sa neppure dove andare. Si illude di tirare dritto in eterno arrancando e rinviando ogni decisione. Intanto la situazione peggiora. Non può durare così».
Una soluzione ci sarebbe
«Le elezioni? Controvoglia, inizio a crederlo anch' io. Da questa situazione si esce solo con un trauma e forse da una tornata elettorale possono venir fuori persone, soggetti politici e sensibilità nuove. Scossoni ce ne sono stati anche troppi, e finora hanno solo peggiorato le cose; vuoi vedere che per una volta possono produrre effetti positivi? Come nello scopone scientifico: quando va male, forse conviene lo spariglio anche a chi è di mano».
Ma Zingaretti al momento buono se la fa sotto, è già successo
«Zingaretti? Il Pd doveva ascoltarlo l'anno scorso e andare a votare, anziché farsi ingabbiare da Renzi. Nicola mi ricorda il Bersani del 2011, bloccato da un partito governista all'eccesso e innamorato delle poltrone: il Quirinale e il Pd non l'hanno fatto andare a elezioni con il risultato di logorare la sua leadership e il partito».
Avevano paura di perdere e consegnare il Paese a Salvini
«Che avrebbe vinto, forse, ma certo non stravinto. In cambio avremmo avuto un Pd e un leader legittimato dalla lotta politica, perché è dalla battaglia che nascono i capi e non dai trasformismi parlamentari. C'è da dire che Zingaretti ha una sfiga megagalattica: doveva andare a congresso e si è beccato la pandemia sui denti». Oltre alla pandemia si è beccato il Covid; e Napoleone diceva che è meglio un generale fortunato rispetto a uno bravo «Il problema del Paese non è Zingaretti».
È l'Europa, professore?
«Questa Europa non mi piace, e lo dico da europeista convinto, ma sono più propenso a credere che il problema sia l'Italia. Mettiamo che la Ue fosse la migliore famiglia del mondo, è normale che, visto che le chiediamo dei soldi, voglia sapere come intendiamo spenderli. E quando scopre che, anziché investirli in progetti infrastrutturali e per difendere imprese e promuovere investimenti, li impieghiamo per vivacchiare e finanziare sussidi a vanvera, cosa dovrebbe fare secondo lei? Perché la Ue dovrebbe regalarci quattrini se non abbiamo progetti validi?».
Perché le siamo simpatici. Questo governo si presentò un anno fa dicendo che i sovranisti non potevano governare perché stanno sul gozzo alla Ue, mentre Conte era amico della Merkel e Gualtieri era l'uomo più stimato a Bruxelles, dove abbiamo mandato il prode Gentiloni, ex premier, a spianarci la strada in compagnia di quel pezzo d'uomo di Sassoli, presidente dell'Europarlamento targato Pd
«Vedo che si fa le domande e si dà le risposte. In effetti la narrazione europea del nostro governo cozza con la realtà. Ma non è vero che la Ue non ci aiuta. Ci ha consentito di sforare i parametri e aumentare il nostro deficit quasi a piacere, soldi che figli e nipoti per qualche generazione dovranno restituire. Poi ha acconsentito agli aiuti di Stato. Con l'Italia, l'Europa ha un atteggiamento comprensivo assolutamente non paragonabile al trattamento che ha riservato alla Grecia. La verità è che la Ue non sta bocciando l'Italia ma questo governo».
Speranze di Conte a Bruxelles?
«Noi puntiamo sul ricatto che, senza l'Italia, la Ue morirebbe; perciò battiamo i piedi e pretendiamo che ci diano soldi a capocchia. Ma non è un atteggiamento maturo e responsabile».
D'altronde, democrazia è morta
«Non esageriamo, giace nell'anticamera della sala di rianimazione. D'altronde, lo stato della democrazia rappresentativa rientra nel grande tema delle riforme, che parevano così urgenti e ora sono passate in ultima fila».
Non condivide i pieni poteri che Palazzo Chigi si è assegnato per fronteggiare la pandemia?
«La crisi del Covid ha evidenziato la crisi del Parlamento, che da anticamera dei partiti è passato ad anticamera del trasformismo. L'emergenza ha rafforzato l'esecutivo e il premier, che, di emergenza in emergenza, assumeranno sempre più poteri».
Conte la sta tirando in lungo con il virus per restare in sella senza consenso?
«La sta tirando in lungo con tutto».
Ma lei è favorevole alla restrizione dei poteri del Parlamento?
«No, ma è inevitabile che l'emergenza riduca diritti e libertà. Il problema è che bisognerebbe provare a uscire dall'emergenza».
Con il voto?
«Forse sarà necessario e finanche augurabile affrontare questo rischio. D'altronde, non vedo alternative credibili. Non credo a sfiducie costruttive, e neppure all'allargamento della maggioranza a Forza Italia: se arriva Berlusconi, almeno i grillini se ne vanno e salta tutto».
Che errori ha fatto il governo, secondo lei?
«Durante il picco della pandemia ha gestito la crisi in maniera verticistica, senza articolare i suoi provvedimenti, adattandoli alle reali situazioni sanitarie dei territori. Ha avuto una gestione assolutamente burocratica e statalista, provocando ulteriori difficoltà di rapporto con le regioni, come se queste non funzionassero già abbastanza male per conto loro».
Il peggio non l'ha dato in economia?
«Lì il flop è stato clamoroso. Ha prodotto una selva di ordinanze che stanno facendo impazzire tutti i commercialisti d'Italia e gli interventi di primo soccorso sono stati capolavori di lungaggini, ritardi, complicatezza. Altro che semplificazione! E adesso non va meglio: c'è l'assenza totale di un programma economico serio di lungo periodo. In compenso gli "stati generali" ci hanno detto quello che "occorre", e che sappiamo da trent' anni».
Da professore, quanto la preoccupa la situazione della scuola e dell'istruzione in generale?
«Per favore, abbia pietà. Non è possibile essere l'unico Paese che ha riaperto i bar prima delle scuole. Vivo a Milano e quando esco vedo i ragazzi che si baciano e abbracciano senza mascherina. Fanno bene, perché sanno di non ammalarsi. Noi invece gli rompiamo le scatole e non li facciamo andare a scuola, e la ministra tenta un'assurda difesa della didattica a distanza. Ma si rende conto la signora Azzolina di cosa dovrebbe essere la scuola e delle folli disuguaglianze che provoca non riaprire le aule? La scuola è il momento della vita in cui più si riducono le distanze sociali».
Sono i sindacati che hanno voluto tenere chiuse le scuole e che ora non vogliono riaprirle
«Ma cosa contano i sindacati oggi? E parlo di tutti i sindacati, Confindustria compresa. È saltata la loro capacità di intermediazione. Gli iscritti sono per lo più pensionati che non lavorano e se hai cessato di organizzare chi lavora, come sindacato non hai ragione di esistere».
I referendum per l'autonomia di Lombardia e Veneto hanno compiuto mille giorni con un nulla di fatto: lei è ancora federalista?
«Sì, ma il federalismo non c'entra nulla con quei referendum, che erano una semplice rivendicazione economica, quasi un ritorno alle istanze secessioniste: se vuoi trattenere tutte le tasse sul tuo territorio ribellati alla Madrepatria come fecero gli americani».
Allora è vero che non le va mai bene niente?
«Sono federalista alla Miglio: facciamo delle macroregioni, creiamo competenze autonome e stabiliamo le funzioni degli enti territoriali, che però devono anche provvedere al reperimento delle risorse».
Immagino che l'esito della vicenda Autostrade non la soddisfi
«Perché, a lei soddisfa? Ma che Paese siamo? Per anni abbiamo privatizzato a vanvera, tutti appassionatamente d'accordo, e ora siamo tornati tutti statalisti inseguendo le pulsioni ideologiche più plebee dei Cinquestelle. Togliamo l'autostrada ai Benetton per affidarla all'Anas, come se questa fosse stata un buon modello di gestione delle strade. Mi sbaglio o è crollato un ponte Anas l'altro ieri?».
Cosa doveva fare il governo?
«Far ricostruire il ponte ai Benetton secondo un suo progetto e costringerli a risarcimenti ingentissimi ai parenti delle vittime. Invece, se ci va bene, la famiglia uscirà dalla vicenda guadagnandoci sette miliardi».
Come ci siamo ridotti così?
«In politica dilaga l'incompetenza. Anche a causa dei social, prevalgono le chiacchiere, e purtroppo questo si sta verificando anche nel mondo dell'informazione e tra gli intellettuali. Vedo un'analogia tra l'affermazione di M5S e i deliri che ci portano ad abbattere le statue di Colombo o di Montanelli. Ormai bisogna combattere addirittura per la sopravvivenza del buonsenso».