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Carlo Nordio sul caso Luca Palamara: "Senza aiutini un giudice non fa carriera", il potere dà alla testa

Pietro Senaldi
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Esiste un giudice a Berlino. Il mugnaio inscenato da Bertold Brecht non aveva dubbi e così sfidò l'imperatore in tribunale. Dopo le intercettazioni pubblicate delle telefonate tra l'ex presidente dei magistrati, Luca Palamara, e i suoi autorevoli colleghi è lecito chiedersi se ci sia almeno un giudice anche a Roma, intesa simbolicamente come l'Italia. Non serve chiamarsi Salvini o Berlusconi per nutrire qualche dubbio. Siamo andati a cercarlo, con la lampada, come Diogene; poi ce ne è venuto in mente uno celebre, sul quale metteremmo sempre la mano sul fuoco. È l'ex procuratore di Venezia Carlo Nordio, che ha fatto carriera pur mantenendosi distante dai giochi tra toghe e dalla politica. È in pensione da tre anni e ha cambiato lavoro. Scrive di giustizia e cultura per il Messaggero.

Procuratore, cosa pensa dello scandalo delle intercettazioni di Palamara?
«Penso che riveli una situazione nota a tutti, denunciata da alcuni e mai rimediata da nessuno. Che il Consiglio Superiore della Magistratura sia l'espressione delle correnti che governano l'Associazione Nazionale dei Magistrati e che la spartizione delle cariche fosse procedura consolidata lo sapevano anche le pietre. Ma vedere queste cose riportate nelle intercettazioni colpisce di più, come quando gli americani videro in tv i ragazzi morire in Vietnam, e gli Usa persero la guerra».

Non c'è proprio nulla che l'ha stupita, si immaginava tutto così com' è emerso?
«Mi sono stupito, la cosa è più grave di quanto pensassi. Mentre la lottizzazione spartitoria tra correnti, benché vituperevole, era arcinota, qui per la prima volta assistiamo a un giudizio di merito di un magistrato sulla colpevolezza di un indagato. Quanto Palamara dice su Salvini è agghiacciante, e vulnera in futuro la credibilità di ogni processo nei confronti di un politico».

Lo scandalo produrrà conseguenze rilevanti per la magistratura o finirà tutto a tarallucci e vino?
«La conseguenza più rilevante sarà la perdita totale di fiducia nella Giustizia. Mettiamo in fila i fatti, almeno come scritti dai giornali. A) Palamara telefona al pm Auriemma che sostiene che Salvini è innocente nel caso Diciotti. B) Palamara dice che è vero, ma che occorre attaccarlo. C) Palamara telefona a Patronaggio, il pm del procedimento contro Salvini, manifestandogli tutta la sua solidarietà D) Salvini viene iscritto nel registro degli indagati. E forse c'è anche l'intervento di Legnini, vicepresidente del Csm. Questo non significa certo che Palamara abbia suggerito a Patronaggio di attaccare Salvini. Ma se io fossi l'indagato non sarei comunque sereno. E così non lo sarà ogni altro politico indagato, che non saprà mai, ma potrà sospettarlo, se il suo giudice abbia ricevuto telefonate analoghe da Palamara, o da altri ai quali non era stato applicato il trojan».
 

Se le intercettazioni non fossero state pubblicate molti traffici sarebbero rimasti sotto traccia: considerate l'importanza e la rilevanza nazionale di ciò che emerso, la pubblicazione è un bene o un male? «Sono sempre stato contrario, e lo sono ancora, all'utilizzo processuale delle intercettazioni, strumento invasivo e anticostituzionale che dovrebbe essere relegato tra gli spunti investigativi come le confidenze e le lettere anonime, senza mai esser depositate, nemmeno in riassunto. Ma poiché questo è il sistema voluto e sostenuto dai magistrati e da Palamara, è una giusta nemesi. In ogni caso, Palamara quelle intercettazioni non le ha smentite, però ha avvertito, com' era ovvio, che i suoi legali le ascolteranno tutte, anche quelle non trascritte. Un'ammissione, e un ammonimento. Chissà cosa potrebbe uscire».

Cossiga definì Palamara un tonno. Non c'era nessuno più degno di lui di fare il presidente dei magistrati?
«Cossiga amava espressioni pittoresche. Palamara era l'uomo giusto al posto giusto in un sistema sbagliato e marcito».

Come si diventa presidente dei magistrati?
«Per pura contrattazione correntizia, scambio di favori e di promesse».
 

L'Anm è una sorta di Parlamento, diviso in partiti: è costituzionalmente corretto che i magistrati facciano politica attraverso le loro istituzioni?
«La Costituzione non lo vieta, e quindi è legittimo. Ma è estremamente inopportuno e vulnera il principio della separazione dei poteri. Per questo sostengo, almeno per quanto mi riguarda, che un magistrato non dovrebbe entrare in politica né durante il servizio e neanche dopo».

È normale che l'Anm determini le carriere dei magistrati?
«È normale perché così avviene normalmente. Ma non è certo giusto e nemmeno intelligente né utile».

A questo punto è legittimo pensare che ogni magistrato arrivato a ruoli importanti abbia uno sponsor politico interno alla categoria, e magari anche esterno?
«Sì, ma questo non significa affatto che sia un incapace. Anzi, molti colleghi di rango apicale sono bravissimi e onestissimi, ma le loro nomine sono pur sempre frutto di accordi correntizi. Palamara ha citato il capo della Procura di Milano. Conosco Greco e lo considero un pm di eccezionale preparazione giuridico-economica, e di capacità organizzativa. Come lo erano Bruti Liberati e Borrelli. Ma ci domandiamo: è possibile che la procura di Milano, che è ormai più importante di quella di Roma, sia da trent' anni diretta da magistrati di MD?»

Quando è iniziato il decadimento della magistratura?
«Il prestigio della magistratura oscilla da tempo. Con il terrorismo eravamo ai massimi. Poi con il caso Tortora siamo calati. Siamo tornati in auge con Tangentopoli. Oggi siamo al minimo del minimo. E temo che non sia finita».
 

I magistrati hanno già un potere enorme: perché ambiscono anche a influire sulla politica nazionale?
«Perché il potere è una forte attrattiva, e la politica, debole e codarda, l'ha consegnato a noi su un piatto d'argento, peraltro spalmato di veleno».

Che opinione ha dei magistrati che si comportano così?
«Non mi piacciono, è ovvio. Se lo facessero in mala fede ovviamente mi piacerebbero ancora meno, ma credo che la maggior parte sia in buona fede. Cosa moralmente meno grave, ma socialmente più pericolosa, perché chi si ritiene moralmente superiore facilmente sconfina nel fanatismo. E il fanatico fa più danni del delinquente».

I magistrati politicizzati sono una piccola minoranza, una minoranza o la maggioranza?
«Posso assicurare che per fortuna sono una netta minoranza».
 

Allora perché non c'è stata una sollevazione della categoria?
«Perché l'Anm tiene in pugno tutti, attraverso il Csm. L'indipendenza e l'autonomia della magistratura sono favole vuote. I magistrati sono indipendenti dal potere politico perché questo non li può toccare, ma sono dipendentissimi dall'Anm e dal Csm, che hanno in mano carriere, incarichi e promozioni. Qualcuno reagisce, ma la più parte si adegua, anche perché se sgarri provano a metterti in riga. Lo so che è odioso parlare di sé stessi, ma quando venticinque anni fa denunciai queste cose fui chiamato dai probiviri, e in particolare dalla dottoressa Paciotti, leader della corrente di sinistra. Li mandai al diavolo, ma ci avevano provato. Quando poi fui promosso consigliere di cassazione ebbi, unico su 150, sette voti contrari. Alcuni colleghi mi suggerirono di chiedere che questo dissenso non fosse messo a verbale, per evitare di compromettere la mia carriera. Io risposi che al contrario lo esigevo, perché i voti contrari di MD per me erano un onore».

Il caso Palamara getta un'ombra sugli ultimi trent' anni di processi alla politica?
«Purtroppo sì».


Non dovrebbe esserci anche una responsabilità oggettiva per le fughe di notizie, visto che noi direttori di giornale siamo responsabili per ogni virgola pubblicata, anche se è palese che non possiamo avere il controllo di tutto?
«Certo, quantomeno per colpa in vigilando. Ma poiché spesso quelle notizie sono anche alla portata di avvocati, polizia giudiziaria e cancellieri, è difficile individuare gli autori».

Perché i magistrati che incriminano politici innocenti, li costringono a dimettersi e ne distruggono la carriera poi non pagano?
«Non sono i magistrati che li fanno dimettere. È stata la politica che si è inventata l'idea sciagurata del passo indietro in attesa della sentenza definitiva. Lo ha fatto per sbarazzarsi degli avversari scomodi che non riusciva a battere sul terreno del consenso, senza sapere che prima o dopo sarebbe capitato anche a chi ne aveva profittato».

Berlusconi disse che i magistrati sono antropologicamente diversi. Battute a parte, lei pensa che una professione di così ampio potere possa influenzare e modificare la personalità di un uomo?
«La battuta di Berlusconi fu una delle sue tante infelicissime sui magistrati, e gli costò molto. È vero però che ad alcuni magistrati, magari giovani pm investiti di un potere immenso, questo potere può dare alla testa».


Come dovrebbe finire secondo lei la vicenda dell'incriminazione di Salvini per sequestro di persona?
«Da un punto di vista giuridico il reato di sequestro non sta né in cielo né in terra. Non solo perché Salvini ha usato un suo potere ministeriale - come quello che ha usato Conte per tenerci agli arresti domiciliari, in sessanta milioni e per tre mesi - ma perché la stessa procura di Catania ha chiesto l'archiviazione perché il fatto proprio non sussiste. A parte ciò, non credo che si farà il processo. Si dovrebbe interrogare il pm di Agrigento per chiedergli se ha avuto rapporti telefonici con Palamara. Si dovrebbe interrogare Conte, per chiedergli se sapeva o meno dell'operato di Salvini. Se risponde di no rischia l'incriminazione per falsa testimonianza, se dice di sì, rischia quella di concorso nel reato per omissione, perché non ne ha impedito la prosecuzione. Non conviene a nessuno fare questo processo».

I messaggi ai pm che indagano su personaggi politici non potrebbero configurare il reato di traffico d'influenze?
«Se un pm incriminasse una persona sapendola innocente, oltre che un reato, commetterebbe un sacrilegio, ma non credo sia questo il caso. Qui si tratta solo di chiacchiere che però rendono opaca un'atmosfera che dovrebbe essere limpida. No, non credo ci siano reati».

A questo punto dubita anche della condanna di Berlusconi e dell'applicazione della Severino ai suoi danni?
«Sulle condanne a Berlusconi si è già scritto troppo. È vero invece che l'applicazione della Legge Severino in modo retroattivo è una mostruosità giuridica, perché si tratta pur sempre di una norma afflittiva. Io lo scrissi subito, e molti, sia pure in silenzio, mi diedero ragione. Oggi lo dicono anche nelle intercettazioni».
 

È salvabile la magistratura e, in caso affermativo, come?
«Da venticinque anni predico che l'unico rimedio è il sorteggio del Csm. Anche la Corte d'Assise che ti condanna all'ergastolo è composta, nella sua maggioranza, proprio da giurati sorteggiati tra il popolo. Così come sono sorteggiati i membri del tribunale dei ministri, quelli, per intenderci, che volevano mandare a giudizio Salvini. Il sorteggio dovrebbe avvenire estromettendo i politici, dentro un paniere composto di magistrati di alto grado, di avvocati membri dei consigli forensi e di docenti universitari di materie giuridiche. Così si spezzerebbe davvero quel legame perverso che unisce eletti ed elettori, che rende il Csm la proiezione delle correnti e, in misura minore, degli stessi partiti e che consente quella assurdità tutta italiana per la quale la sezione disciplinare è, di fatto, nominata da quelli che deve giudicare».

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