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Luigi De Magistris a Libero: "Magistratura contagiata, impossibile curarla"

Alessandro Giuli
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Luigi de Magistris considera il "Csm-gate" come uno dei punti più bassi toccati dalla magistratura. Però non si stupisce. «Apprendo con grande amarezza le ultime novità sul caso Palamara, che peraltro è scoppiato oltre un anno fa, ma non le considero una novità, anche alla luce di quel che ho dovuto subire io stesso prima di entrare in politica». De Magistris ha rivestito per 15 anni la toga del pm d'assalto, protagonista di memorabili indagini sulla classe politica italiana e di conflitti durissimi con i suoi colleghi; poi è uscito dalla magistratura nel 2009 per fare l'eurodeputato (con l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro) e due anni dopo è stato eletto sindaco di Napoli. Riconfermato nel 2016, il suo secondo mandato scadrà l'anno prossimo. Oggi ascolta il richiamo del presidente Mattarella sulla «inammissibile commistione tra politici e magistrati» e sulla «degenerazione del sistema correntizio» con l'aria di chi sapeva già come sarebbe andata a finire.

Per la seconda volta in un anno il capo dello Stato, che presiede anche il Csm, fa capire che la magistratura ha bisogno di una riforma radicale.

«Quelli di Mattarella sono interventi puntuali e profondi. Ma ormai non è nemmeno sufficiente la sola riforma del Csm. Tutto il sistema giudiziario è vittima di degenerazioni correntizie, dietro la sacrosanta indipendenza della magistratura si nascondono gravi dipendenze da logiche di potere interne. Quando si legge la frase "è uno dei nostri" negli stralci dei dialoghi fra magistrati intercettati, si comprende che le correnti, nate come espressione della libertà di pensiero, sono divenute uno strumento di protezione e promozione di cordate».

Anche il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, che del Csm ha fatto parte dal 2014 al 2018, sostiene sia giunto il momento di nominare i suoi membri con il sorteggio.

«Se mi avessero posto questa soluzione 15 anni fa, l'avrei giudicata impensabile. Adesso le devo dire la verità: per come si è messa la questione, non credo più alla capacità autonoma dei magistrati di ripulirsi da un contagio così forte. Non soltanto sono a favore del sorteggio, ma ridurrei a un anno la durata dell'incarico: il sistema è diventato talmente tentacolare che, anche con il sorteggio, dopo 4 anni di permanenza nel Csm saremmo punto e a capo».

La magistratura, pezzo fondamentale dello Stato, non è mai apparsa così delegittimata.

«Quando il Csm smette di essere l'organo di autogoverno e diventa altro, tutto l'ordine giudiziario viene messo in questione. E allora l'Italia intera deve essere in grado scrostare e ripulire il sistema, se necessario anche attraverso una riforma costituzionale».

Si torna a parlare di separazione delle carriere.

«Premessa: sono assolutamente contrario a ogni forma di dipendenza del pubblico ministero dal potere esecutivo. Ciò detto, negli anni mi sono convinto che si potrebbe ragionare su un sistema che garantisce appieno l'autonomia e indipendenza dei pm in presenza di una distinzione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante. Comprendo la genesi della nostra unicità originaria, ma se non è più garantita la parità tra l'accusa e la difesa allora bisogna ripristinare l'equilibrio. Si può fare mantenendo il Csm così com' è oppure modificandolo».

 

 

 

 

 

 

E l'obbligatorietà dell'azione penale? Deve rimanere intoccabile?

«Si può arrivare a formalizzare un'indicazione da parte del Csm di quelle che sono le priorità nei procedimenti penali, in parte è già così».

Veniamo al collateralismo tra politica e magistratura. Le cosiddette porte girevoli.

«Mai avrei pensato di lasciare la toga, ma quando mi trasferirono da Catanzaro compresi che le ingiustizie da me subite erano talmente clamorose che non c'erano più le condizioni per la mia permanenza. Potevo mettermi in aspettativa e garantirmi una migliore pensione, invece ho preferito dimettermi. Morale: non condivido che un magistrato legittimamente impegnato in politica, una volta finita l'esperienza, possa ritornare come se niente fosse al lavoro precedente. E se porre un divieto rischia di disincentivare la scelta di fare politica, si potrebbe prevedere un eventuale rientro in un altro apparato dello Stato, di importanza adeguata».

Per oltre vent' anni abbiamo assistito al conflitto tra Silvio Berlusconi e una parte maggioritaria del potere giudiziario. Eppure mai era successo di leggere in un brogliaccio le parole del capo dell'Anm che diceva "Il Cavaliere ha ragione, ma dobbiamo attaccarlo lo stesso". È accaduto con Luca Palamara, che invitava i colleghi ad andare contro l'allora ministro dell'Interno, Matteo Salvini, sul caso Diciotti, la nave della Guardia costiera carica di migranti alla quale fu vietato di sbarcare nell'estate 2018. Stavolta la pistola fumante esiste: la magistratura agisce per ragioni politiche?

«Il comportamento di Palamara è doppiamente grave. Per me, sul caso Diciotti, Salvini aveva torto. Ma se tu, magistrato, ritieni invece che abbia ragione e poi brighi con alcuni tuoi colleghi per attaccarlo, dimostri che non sei un magistrato. È un atto gravissimo che fa venire meno l'indipendenza e la neutralità costituzionale della tua funzione. E inoltre, me lo lasci ripetere, bisogna ammettere che la magistratura si è spesso compattata contro la politica a senso unico».

Parole sue: «Fino a quando indagavo su Berlusconi mi facevano l'applauso; come cominciai a indagare a sinistra mi dissero: ma che fai, indaghi pure a sinistra?».

«Sì. Quando mi sono trovato impegnato a fare inchieste che riguardavano persone riconducibili a Berlusconi, la cosa non ha mai creato preoccupazioni fra i colleghi; anzi ho sempre notato una certa compattezza. Poi, magari, se nella stessa inchiesta spuntavano figure di sinistra, coinvolte anche in misura equivalente rispetto ai berlusconiani, c'era qualcuno che veniva a dirmi "ma che fai così si sbriciola il nostro fronte". È una cosa inaccettabile e dall'effetto devastante: quando un magistrato comincia a distinguere tra un reato utile e un reato che non torna utile, perde la sua indipendenza ed entra nell'arbitrio assoluto».

Chi preferisce tra Piercamillo Davigo e Luciano Violante? Davigo usa l'iperbole («se invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, non devo aspettare la sentenza della Cassazione per non invitarlo di nuovo») per sostenere che l'errore italiano è aspettare le sentenze prima di considerare colpevole un presunto innocente; Violante dice che «uno Stato che non si fida dei suoi cittadini suicida se stesso».

«In questo momento il tema che più inquieta i cittadini è che una fetta considerevole della magistratura non rappresenta più con certezza l'equidistanza nei confronti delle persone. Non mi pare il momento di dare lezioni di etica e giudicare gli altri in base alla cultura del sospetto, se non peggio: la macchina del fango. E non ho alcuna nostalgia per la stagione in cui una persona indagata doveva dimettersi, perché si può finire nel registro degli indagati per le ragioni più assurde Bisogna anzi recuperare il senso dello stato di diritto; non c'era bisogno del caso Palamara per capirlo. Mi proclamo deluso da tanti grandi magistrati che dentro il Csm non sono riusciti né a prevedere né a evitare certi scandali. E guardi che io queste cose, le cose più dure, le ho dette quando ero ancora in magistratura».

Vedremo presto una riforma della Giustizia o arriveranno prima le dimissioni del Guardasigilli Bonafede? «Su Bonafede mi limito a dire questo: se tu determinati ambienti non li conosci fino in fondo, non puoi stupirti se poi ti trovi in situazioni difficili e clamorose».

Si riferisce al caso di Nino Di Matteo, il magistrato al quale Bonafede aveva proposto la guida del Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) salvo poi rimangiarsi l'offerta dopo "la reazione di importantissimi capimafia"? Di Matteo l'ha raccontata così in tivù.

«Di Matteo ha raccontato un fatto. E non c'è stata abbastanza chiarezza da parte del ministro, come dimostrano le dimissioni a catena di alcuni suoi collaboratori. Allora, delle due l'una: o conosci bene le cose di cui ti occupi, scegli in un determinato modo e quindi ti assumi le tue responsabilità; oppure non ti rendi conto del mondo in cui stai operando e dimostri la tua inadeguatezza. Del resto, la liberazione di oltre 400 detenuti pericolosi in piena pandemia dimostra che non ci si può improvvisare combattenti antimafia».

Che cosa farà De Magistris una volta conclusa l'esperienza da sindaco?

«Dopo dieci anni di passione, entusiasmo e sacrificio a Napoli, vorrei dare il mio contributo alla politica nazionale. Vengo da un'esperienza politica legata al civismo in totale autonomia dalla nomenclatura partitica. Ho vinto contro il centrodestra, il centrosinistra e i 5 stelle».

Non si considera una sintesi perfetta tra sinistra e pentastellati?

«Ho fatto cose di sinistra senza stare in uno schieramento di centrosinistra che la sinistra l'ha rinnegata. Rispetto ai 5 stelle, ho dimostrato che quando ti trovi a governare devi saper coniugare rottura e affidabilità. Ho riunito diverse anime intorno a Napoli, ora mi piacerebbe vedere riunito il Paese nelle sue differenze continuando ad attuare la Costituzione dal basso. Non si può stare in recinti stretti, servono energie nuove».

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