Romano Prodi invita a imitare Mussolini. Fase 2 e modello Iri, l'ultimo fronte
Mussolini ha fatto cose buone. Che ora meritano di essere replicate. Firmato Romano Prodi. Ci volevano il Covid-19 e il Mortadellone del parastato industriale per svelare quello che tutti sanno eppure pochi hanno il coraggio di dire, e che ovviamente nulla toglie all' infamia delle leggi razziali, alla scelleratezza dell' entrata in guerra e al carattere liberticida del regime. Tira infatti aria di interventismo e grandi nazionalizzazioni. Aria di un nuovo Istituto per la ricostruzione industriale, anche se stavolta si chiamerà Cassa depositi e prestiti o in altro modo. E se Iri ai giorni nostri vuol dire Prodi, per la Storia significa Benito Mussolini e Alberto Beneduce.
Ambedue eredi, ognuno a modo proprio, dell' Idea Nuova Socialista (in maiuscolo, perché è anche il nome che Beneduce diede a una delle sue figlie, la quale andò in sposa ad Enrico Cuccia, signore di Mediobanca e della finanza laica del dopoguerra). Era il gennaio del 1933 quando l' Iri nacque: il fascismo e l' antifascismo di matrice azionista andavano a braccetto già da qualche anno, sotto il cielo delle partecipazioni statali.
Prodi lo sa, e nell' articolo che ha firmato per Il Messaggero di ieri dà un contributo, sebbene piccolo e tardivo, a questa verità storica. «Quando divenni presidente dell' Iri, nel 1982», scrive, «per prima cosa andai a chiedere al professor Pasquale Saraceno, che da giovane laureato, a fianco di Alberto Beneduce, aveva presenziato all' incontro con Mussolini sulla fondazione dell' Iri, quale era stata la motivazione ideologica che stava alla base di quella decisione». La richiesta del Duce, racconta l' ex leader dell' Ulivo, «si era espressa con una semplice frase: "Fate qualcosa per queste imprese"». E anche oggi, prosegue Prodi, «bisogna fare "qualcosa". Non certo un' altra Iri, perché il contesto economico è totalmente cambiato, ma occorre certamente una politica pubblica che aiuti la ripresa delle nostre imprese».
Ricetta corretta - Un lungo discorso per dire che la ricetta di Mussolini era corretta. Così azzeccata, a partire dalla «motivazione ideologica» che vi era dietro, da dover essere riprodotta adesso. Allora fu per salvare la Banca Commerciale e gli altri istituti travolti dalla crisi del '29, dalla cui sopravvivenza dipendevano le sorti delle industrie italiane, e poi andò come si sa. Oggi è per ricapitalizzare le imprese ridotte sul lastrico dall' epidemia, ed è facile prevedere che il risorgente "capitalismo di Stato" pure stavolta durerà a lungo, partirà con le migliori intenzioni e ne combinerà poi di tutti i colori.
Il resto di quel sodalizio, innaturale solo in apparenza e su cui la storiografia repubblicana ha sempre preferito sorvolare, lo raccontano i documenti dell' epoca. Il fatto che Beneduce, classe 1877, fosse stato parlamentare e ministro social-riformista nel governo Bonomi e fosse notoriamente massone, Gran Sorvegliante del Grande Oriente d' Italia dal 1912, non impedì a Mussolini di affidargli pieni poteri nel disegnare l' assetto finanziario e industriale dell' Italia fascista, preferendolo per la presidenza dell' Iri ad altri personaggi che gli erano stati proposti dai gerarchi, non adatti alla «ampiezza e l' importanza» - scriveva al ministro delle Finanze Guido Jung - del progetto che aveva in mente. Come a Deng Xiaoping, a Mussolini non importava che il gatto fosse bianco o nero, ma solo che acchiappasse topi.
Né il fatto di essere socialista impediva a Beneduce di allinearsi al regime, in camicia bianca anziché nera, e scrivere allo stesso Jung, nelle lettere in cui perorava la costituzione dell' Iri, frasi come «un solo pensiero domina il mio spirito: servire il Paese, il Regime, e il Duce che merita la devozione di ogni italiano». Queste, piaccia o meno, sono le radici del grande intervento dello Stato italiano nell' economia, che oggi Prodi, i suoi compagni del Pd e i miracolati a Cinque Stelle vogliono replicare.
(Tutto ciò per tacere della Rai, fondata nel 1927 da Mussolini con il nome di Eiar, dell' Inps, creato nel 1933, e del resto del parastato industriale, previdenziale e assistenzialistico costruito nel ventennio dal capo del fascismo. Quando certi giornalisti del servizio pubblico e gli alfieri progressisti dello Stato sociale negano che la Buonanima abbia fatto qualcosa di buono, insultano pure se stessi e la loro storia).