Maria Luisa Iavarone: "Nuove solitudini, così cambiano le relazioni"
Gli Italiani sono sempre più soli. Il dato emerge dall'ultimo rapporto ISTAT sulla qualità della vita consegnato all'inizio di quest'anno. Attraversiamo un tempo che qualcuno ha definito “liquido” perché particolarmente fluido e magmatico, dove i confini territoriali sono meno delimitati a causa della globalizzazione ma dove anche quelli della coscienza appaiono sempre più indefiniti. E' evidente la perdita di traiettorie certe, in termini di coordinate di orientamento valoriale, anche perché viviamo in una società definita da Augè Iper-moderna dove il prefisso “iper” si collega ad una quantità di fenomeni contemporanei quali l'iperindividualismo, l'ipernarcisismo, l'iperconsumo, l'ipercapitalismo, l'iperconnettività. Tutti fenomeni che descrivono una società caratterizzata da eccessi, arrivata al suo acme di disponibilità di beni e risorse e che forse, proprio per tale ragione, sta sviluppando ipertrofismi malati. In questo nostro mondo gli adulti sono sempre più impegnati, sempre più preoccupati di realizzare se stessi e pertanto poco inclini a prendersi cura dei giovani, essendo, essi stessi, ancora alla prese con la loro incompiutezza. I giovani si ritrovano allora sempre più soli e le tecnologie spesso riempiono le loro solitudini. Cos'è la solitudine: uno status fisico o psichico? Certamente una condizione complessa che può generare angoscia e disperazione. Il sistema più naturale per superare la solitudine è nel creare relazioni, condividere esperienze, coltivare legami. Oggi questo non è scontato perché un aspetto peculiare caratterizza il nostro tempo ed è il mutato rapporto con lo spazio e con il tempo. Una volta, per uscire dalla solitudine, bisognava muoversi fisicamente, andare in un luogo dove incontrare persone e trascorrere con queste un tempo dedicato intenzionalmente alla relazione. L'intrinseco significato del concetto di relazione implica, infatti, andare verso l'altro, incontrarsi in uno spazio intermedio, dandosi del tempo in maniera condivisa. Oggi abbiamo l'illusione di coltivare relazioni in assenza di tutto questo, rimanendo a casa sul divano, magari chattando tutta la sera, con lo smartphone tra le mani, senza fare nulla di autenticamente relazionale. Questo tema, in fondo, lo aveva già intuito Magritte quando nel quadro "questa non è una pipa" gioca con grande intelligenza ed ironia proprio sulla confusione tra realtà e rappresentazione. La lezione del surrealismo ci ricorda che le relazioni virtuali non sono vere relazioni. Questa distorsione è forse cominciata proprio con Facebook che ha travisato il concetto di “amicizia” così come i social che hanno alterato il concetto di “socialità”. Personalmente non conosco nulla di più anti-sociale dei social, luoghi in cui si scatenano linguaggi d'odio, forme di violenza e di prevaricazione verbale inusitate. Un tempo il reale era la matrice del virtuale: prima si era amici dal vivo e quindi ci si aggiungeva nei rispettivi profili facebook. Oggi, al contrario, il virtuale sta diventando la matrice del reale: ti “conosco” sui social e quindi decido di esserti “amico”. Agli inizi dell'800 Feuerbach ci ricordava che “Noi siamo ciò che mangiamo” allo stesso modo, noi siamo le relazioni che abbiamo. Se ci nutriamo di relazioni inadeguate tenderemo ad essere e a funzionare in maniera inadeguata. Per questo è importante educare i bambini sin da piccoli a costruire relazioni in maniera opportuna, perché questo è il tessuto di cui saranno fatti. In definitiva è questo il senso della vita e lo scopo ultimo del nostro stare al mondo. Quando lo spiego ai miei studenti all'Università utilizzo una semplice metafora. Gli individui sono dei mattoni e la capacità di tenerli assieme deriva dalla malta che li lega. La solidità del muro dipenderà dalla cura usata nello stenderla e dalla pazienza nell'aspettare che si asciughi. di Maria Luisa Iavarone