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Che cinepanettoneBrad Pitt a lettocon lady Tyson

Una vicenda più trash ed efficace di questa non la partorirà mai nessuno: perfetta per un film

Matteo Legnani
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  di Selvaggia Lucarelli Non so se Neri Parenti abbia già acquistato i diritti cinematografici dell'affaire Brad Pitt-Mike Tyson ma fossi in lui avvierei le trattative al più presto,  perché una vicenda da cinepanettone più trash e efficace di questa non la partorirà mai nessuno. Neppure  il raffinato sceneggiatore della gag del cellulare nel tacchino. Immaginate la scena: Brad Pitt sorpreso a letto con la moglie di Mike Tyson. E non dalla donna delle pulizie. No. Da Mike Tyson stesso. E a fine anni '80, il che tradotto in termini semplici vuol dire  «quando Mike Tyson era il campione dei pesi massimi e una sua manata su un tavolo poteva invertire i poli terrestri», ma anche  «quando Brad Pitt era un biondino sbarbato poco più che ventenne». Credo che poche cose possano rappresentare un incubo peggiore di questo per un qualsiasi uomo sulla faccia della terra. Forse l'assenza del segnale della parabola durante la finale della Champion's league. Forse la pioggia mista a sabbia dopo l'autolavaggio. Forse una minorenne a una cena elegante. Per il resto, immaginate l'incubo vissuto da Brad. Lui era lì che si rotolava nel letto col pettorale lucido e non si sa a quale round i due fossero, fatto sta che a un certo punto sentono la chiave che gira nella toppa. O forse sentono una porta venir giù con una testata, che è più probabile. Lei fa forse in tempo a esclamare la celeberrima frase «cielo mio marito!», lui associa le parole suo-marito al fotogramma in cui suo-marito stacca l'orecchio a morsi a Evander Holyfield e immagina che nel suo caso a rimetterci non sarà un orecchio, ma qualcosa a lui più caro. E qui il cliché  cinepanettone sfiora l'acme: Brad con un colpo di reni si alza dal letto per andarsi a occultare nell'armadio e un armadio di centodue chili circa gli si para davanti. Centodue chili distribuiti così: sessanta di tartaruga, trenta di bicipite e dodici di giugulare pulsante.  Ora, io non so cosa possa passare nella testa di un uomo nudo di fronte a Mike Tyson intenzionato a spalmarti come gli stipendi del Bari. Probabilmente a Brad è passata tutta la vita davanti agli occhi e un rigagnolo tiepido dietro alle gambe. Probabilmente non era neppure così biondo e quelle meches naturali sono il risultato dello stesso shock emotivo che fece perdere a Maria Antonietta i capelli la prima notte di prigionia. Immagino che d'un tratto abbia sospettato che di lì a poco avrebbe sperimentato più posizioni con Mike che con sua moglie. E visto che ne è uscito vivo, è anche presumibile che abbia abbandonato ogni tentativo diplomatico o qualsiasi abbozzo di giustificazione, anche perché tentare la strada della diplomazia con un tizio i cui simpatici nomignoli nel mondo della boxe erano  «Iron Mike», «The Baddest Man on the Planet», «Kid Dinamite» e «King Kong», aveva scarse probabilità di successo. Tanto più che Mike all'epoca era un mito incontrastato e  Brad Pitt molto difficilmente poteva ignorare qualche rassicurante cenno biografico sul campione di boxe. E cioè, tanto per citarne un paio particolarmente esemplificativi: trenta arresti prima del compimento del dodicesimo anno di età che neanche Fabrizio Corona e una vittoria epocale sul ring contro un mite avversario denominato «Spaccaossa». Insomma, l'erede naturale di Mahatma Gandhi. Ed è in quel momento che Brad s'è trovato a interpretare il ruolo più difficile della sua carriera: quello dell'amante con Mike Tyson davanti che chiede spiegazioni. Altro che il marito infelice in Babel o il muscoloso Achille in «Troy». Quella deve essere stata robetta, per il povero Brad. E tutto diventa improvvisamente chiaro. Il perché Brad Pitt abbia esordito nei film «Senza via di scampo» e  «La fine del gioco», proprio in quel periodo. E anche la confusione mentale che l'ha portato a compiere una serie di scempiaggini che ora possiamo perdonargli, viste le attenuanti: i colpi di sole in Joe Black e  il matrimonio con Scucchia Aniston, per esempio. L'unico vero punto interrogativo su questa vicenda è come abbia fatto Brad Pitt a uscire vivo da quella casa. Quali strumenti abbia usato per ammansire Kid Dinamite. Ho un sospetto, povero Brad, ma lo terrò per me. Certo è che la corazza metrosexual che indossava in Troy è una pistola fumante.  Mi auguro solo per lui che il tutto sia accaduto in fretta e senza il conteggio arbitrale a bordo ring, ma comunque sia andata la storia, una cosa è certa:  per Brad, «Sette anni in Tibet» devono essere stati una passeggiata rispetto ai quattro minuti in quella camera da letto.   

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