C’è un furgone, color verde acqua, in via Varsavia, a Milano. Municipio 4, vicino all’ortomercato. È stato dato alle fiamme circa un mese fa, eppure staziona ancora lì. Sul marciapiede, dietro una rimessa di camion. Ha il cofano completamente distrutto, le ruote davanti sono a terra, per coprire le lamiere divelte e arrugginite qualcuno ha coperto la parte anteriore con dei teli e delle coperte. È la “casa” di una famiglia di nomadi. Mamma, papà e almeno un bimbo che avrà, a occhio e croce, quattro o cinque anni.
Mangiano su quel minivan evidentemente fuori uso, ci dormono dentro, si riparano sotto il suo tetto quando piove e quando fa freddo.
«Ce ne sono anche altri», spiega Giovanna (il nome è di fantasia, non vuole avere problemi, il resto del racconto è la realtà che vive ogni giorno), «non sappiamo chi siano, probabilmente sono rom. Non sappiamo nemmeno chi abbia incendiato proprio quello e perché. Sappiamo però che così non si può continuare. Sporcano dappertutto, lordano dove capita, vanno a lavarsi alle fontanelle. Qui nel quartiere, da quando è successo l’omicidio, non è cambiato niente».
Si riferisce, Giovanna, all’assassinio di Jhonny Sulejmanovic, il ragazzo 18enne di etnia rom e bosniaco, di Torino, freddato con tre colpi di pistola calibro 7,65 nella primavera del 2024. Una vicenda che, allora, aveva scosso Milano e che oggi, a distanza di un anno esatto, non è stata dimenticata. I dettagli, mica per niente, lasciano di sasso: stesso periodo (fine aprile), stessa situazione (i senza dimora che imperversano in un’area della città, la stessa tra l’altro), stesso scenario (Sulejmanovic è stato ucciso mentre dormiva su un furgoncino), stesso senso di impotenza. «Non ne possiamo più, siamo esasperati. Quei bambini giocano persino su una strada che è a scorrimento veloce. E se succede qualcosa? Senza contare il decoro urbano, con quel mezzo che dovrebbe stare in uno sfaciacarrozze e che, invece, è sul ciglio della strada». Giovanna, così come anche altri residenti, con le mani in mano non ci sa stare. Ha segnalato la questione al Comune, ai vigili: «Sono arrivati solo i pompieri quando stava bruciando, hanno spento il rogo. Ma da allora quella famiglia non si è allontanata mai».
«Sono anni che via Varsavia è presa di mira dai rom», conferma il consigliere di Fratelli d’Italia a Palazzo Marino Francesco Rocca, «e purtroppo non c’è solo quel furgone. Ce ne sono molti altri, specie nella vicina via Monte Cimone, sul limitare del parco Alessandrini: sono diventati il rifugio anche di alcuni nordafricani, e il punto è che non è per nulla gente pacifica. Se uno si avvicina e fa loro un’osservazione lo minacciano, sono aggressivi. Stendono i panni sull’asfalto, cucinano lungo la carreggiata. Qualche tempo fa avevano anche delle galline, e ovviamente i loro bambini non vanno a scuola perché spesso sono stati notati anche in orario scolastico».
Rocca è tra quelli che hanno deciso di portare i fatti all’attenzione del Comune: «L’ho segnalato al sindaco perché, non avendo più formalmente un’assessore alla Sicurezza, e dato che il sindaco fa parte del comitato che la gestisce, ho pensato fosse la persona più propria a occuparsene. Mi hanno fatto sapere solo giovedì che manderanno dei controlli con la polizia locale. Facciano con calma, tanto nel frattempo c’è solo un quartiere che non sa più a che santo votarsi. Persone che hanno paura a uscire, anziani che non si sentono tranquilli, cittadini arrabbiati perché non possono neanche invitare gli amici o i parenti a casa: come fai ad avere ospiti se giri l’angolo e vedi gente che fa i propri bisogno per strada?», «Via Varsavia», continua il meloniano, «è una terra di nessuno dove, nonostante un omicidio commesso (e per il quale, giusto tre giorni fa, è stato fermato in Spagna l’ultimo uomo del commando killer, segno che le forze dell’ordine il loro lavoro lo fanno e lo fanno bene: ndr), c’è impressione che si voglia “normalizzare” una situazione che normale non è per nulla. Ora con l’arrivo della bella stagione, dell’estate e del caldo, andrà persino peggio. È intollerabile».