
Ramy, la perizia della Procura scagiona i carabinieri. "E adesso chiedete scusa"

È arrivata la verità per Ramy Elgaml. Ora vedremo se chi l’ha invocata, usando la morte del ragazzo per condannare senza processo i carabinieri e per racimolare facili istantanee di consenso strumentalizzando il dolore dei suoi amici, avrà il coraggio e l’umiltà di accettarla. Un gioco pericoloso, che ha rischiato di innescare una rivolta sociale e di aprire una questione razziale in realtà inesistente. Lo scopo: trasformare le periferie cittadine in banlieue parigine per mettere in difficoltà il governo.
«Il video dell’inseguimento in cui Ramy ha perso la vita lascia addosso una rabbia profonda. Le parole dei carabinieri e il loro comportamento sono inaccettabili in un Paese civile. Se oggi il caso non può essere insabbiato, lo dobbiamo anche alle proteste del quartiere Corvetto e alla comunità di persone solidali che reclamano verità e giustizia per il ragazzo e per il suo amico Fares».
Così scriveva Ilaria Salis, l’eurodeputata di Sinistra Italiana che nel quartiere di Ramy ha occupato abusivamente una casa per anni, rimediando due condanne, per invasione di edifici pubblici e per resistenza a pubblico ufficiale, rimediata negli scontri per impedire lo sgombero di alcuni alloggi popolari.
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LE COLPE DELL’AMICO
«Il carabiniere che guidava la gazzella ha avuto un comportamento conforme a quanto prescritto dai regolamenti delle forze dell’ordine. Le procedure sono state corrette: gli agenti hanno cercato di intimare l’arresto della marcia al motoveicolo provando a indurre il conducente del mezzo ad accostare. Hanno mantenuto lo stretto contatto visivo laddove non esistevano condizioni di sicurezza, in diversi tratti del centro storico, laddove la viabilità presentava calibri stradali particolarmente ridotti e vi era una presenza di pedoni tale da non poter effettuare un inseguimento troppo ravvicinato». Questo invece hanno scritto, in 164 pagine di relazione, i consulenti della Procura di Milano.
Il giudizio dei periti non lascia dubbi: puntano l’indice contro Fares Bouzidi, l’amico della vittima che guidava lo scooter a tutta velocità. «La sua condotta», si legge nella relazione, «è stata caratterizzata da spregiudicatezza nella guida e sprezzo del pericolo per sé, per il trasportato e per gli altri utenti della strada. Ha compiuto numerose e gravi infrazioni del Codice, ha rischiato più volte la collisione con altri veicoli e con persone e ha imboccato strade alla cieca, in curva e contromano». In sintesi, è un miracolo che i due ragazzi non si siano schiantati prima è che l’inseguimento sia proseguito per otto chilometri e venti minuti.
«Chi ha infangato i carabinieri chieda scusa», commenta il leader della Lega, Matteo Salvini. «Il sindaco di Milano, Beppe Sala, e il Pd chiedano scusa» dettaglia il senatore di Fratelli d’Italia Sandro Sisler, vicepresidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama. Non c’è da illudersi. Da sinistra non si leverà una parola per i carabinieri, tantomeno qualcuno si batterà il petto. È terribile, e indicativo, che i dem sul caso Ramy inseguano la posizione di Salis e compagni, in una tragica similitudine con la tragedia dei due ragazzi, con l’estrema sinistra che guida i progressisti, in teoria uno schieramento di moderati, in una folle corsa verso l’abisso. Un baratro in cui è caduto anche l’ex capo della Polizia, Franco Gabrielli, allora consulente per la sicurezza del sindaco di Milano, che aveva definito «non corretto l’inseguimento» e commentato che «non si può mettere in pericolo la vita di una persona perché scappa». Poco dopo questa uscita, criticatissima in città, si è ritirato.
CARABINIERE CORRETTO
Complimenti ai consulenti della Procura, che hanno avuto la forza di andare contro un parere così autorevole e che strizzava l’occhio alle facili posizioni del fronte buonista, che per mesi ha raccontato la favola di due bravi ragazzi finiti nel mirino di forze dell’ordine razziste. Invece no. I periti hanno smontato anche la tesi dello speronamento, che Libero ha confutato fin dal primo giorno. Le gazzelle non si sono mai affiancate al veicolo inseguito ma si sono sempre poste correttamente alle sue spalle. «Il vicebrigadiere alla guida si è trovato di fronte a una manovra improvvisa e imprevedibile di Fares, che gli ha tagliato la traiettoria, e ha cercato il più energicamente possibile di frenare l’auto nel poco spazio a disposizione» per evitare lo scontro, è scritto nella perizia.
Con il testimone a cui i carabinieri avrebbero cancellato il video dell’incidente che giocherebbe un ruolo assolutorio nei confronti del carabiniere. «Il conducente», scrivono i consulenti, «non può sterzare a sinistra perché da lì arriva lo scooter, ma nemmeno a destra per l’apparizione del pedone, quindi non gli resta che inchiodare». Tutto come sostenuto da Libero fin dal primo giorno: braccato, Fares tenta una manovra disperata, perde il controllo della moto e sbatte sul gradino del marciapiede, ribaltandosi. Con la gazzella che non riesce a frenare in tempo per evitare l’impatto e si ferma contro il palo sul quale un attimo prima si è schiantato Ramy, per l’impatto fatale. Sceso dall’auto, il vicebrigadiere contro cui si è scagliata la sinistra, milanese e non solo, chiama l’ambulanza e prova a rianimare Elgaml finché non arriva.
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