
Salva-Milano, il Pd che ha creato il problema ora si nasconde: il rischio di miliardi in fumo

La chiamavano legge “Salva-Milano”, ma sarebbe stato più corretto chiamarla “Salva-Italia”. Si calcola che il capoluogo lombardo in questo momento attiri circa il 40% del totale degli investimenti immobiliari nel nostro Paese. Facile immaginare cosa accadrà con lo stop alla norma, che creerà un quadro di totale incertezza per chi lavora nel mattone. In gioco ci sono 12 miliardi di euro. Mezza finanziaria. D’altra parte, coincidenza, la bomba della procura è fatalmente esplosa proprio nei giorni decisivi per l’iter della norma, già approvata alla Camera a novembre e in discussione al Senato. Settimana prossima scadono i termini per la presentazione degli emendamenti. E proprio ieri l’ex dirigente del Comune Giovanni Oggioni è stato arrestato con le accuse di corruzione, falso e depistaggio. Una storiaccia di “permessi facili”. E immediatamente è partito il fuoco di fila contro la legge voluta (e ora rimangiata) dal sindaco Giuseppe Sala. Il Gip nell’ordinanza ha messo nero su bianco che l’indagato ha partecipato alla stesura delle nuove regole. Ma è davvero così?
Sintetizziamo per chi ha poco tempo: la salva-Milano serviva proprio per sanare un contenzioso aperto tra Comune e procura. Per più di dieci anni tutti i dirigenti di Sala (e prima di Giuliano Pisapia) hanno interpretato le norme che regolamentano riqualificazioni in senso, per così dire, “estensivo” senza che nessuno obiettasse. In altre parole, spesso è stata data l’autorizzazione per trasformare palazzine di pochi piani in condomini o torri. Per la verità, sempre seguendo lo stesso criterio. Il tutto nella convinzione di aver applicato la legge in maniera corretta e nell’ottica di riqualificare quartieri della città non esattamente di lusso: stiamo parlando di via Crescenzago a Milano, non di piazza San Marco a Venezia. Per anni nessuno ha mai obiettato nulla sull’impostazione degli uffici lombardi né fatto particolari controlli. Poi all’improvviso, nel 2023, la procura ha aperto il fuoco, ordinando di fermare tutto.
L'architetto Oggioni ai domiciliari: il Salva Milano è nel mirino, l'ultima mossa delle toghe
Con un decennio di nuove costruzioni già finite e progetti avviati. Praticamente il caos. Ovviamente lo stop imposto alle autorizzazioni alle nuove costruzioni ha alimentato la retorica di chi da sempre combatte contro le “colate di cemento” in città. Si tratta degli stessi soggetti politici – numerosi a sinistra - che hanno cercato di fermare in questi decenni qualsiasi tipo di intervento di sviluppo urbanistico. Quelli che ancora rimpiangono le vecchie Varesine, presunta area verde dove al posto delle roulotte dei giostrai sono sorti i grattacieli di piazza Gae Aulenti. E solo chi è cresciuto ben lontano da quello schifo può avere nostalgia di certe realtà. Ora, cosa c’entra l’arresto di un dirigente con questa storia? All’apparenza nulla. Ovvio che sarebbe grave se davvero il tecnico comunale finito ai domiciliari avesse fornito pareri “interessati” per la stesura di qualche emendamento, ma questo non cambierebbe assolutamente niente per l’impostazione della legge. C’era una precisa volontà politica, che è quella di superare il contenzioso Comune-procura sulle riqualificazioni fatte in questi anni in città per evitare la paralisi. La norma è stata voluta e impostata da Sala, che era arrivato a minacciare le dimissioni per convincere il Pd a portarla avanti e il governo a sostenerla. E invece ieri sera è stata la stessa giunta ad innestare la retro, chiedendo lo stop all’iter in Parlamento. Subito dopo è arrivato l’ordine Elly Schlein, che ha spiegato che “non ci sono più le condizioni” per procedere. Il Partito Democratico, dopo aver creato il problema, se ne lava le mani.
La sinistra si nasconde, vince la procura, perdiamo tutti noi.
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