Tiziana Maiolo: "Maschi e violenti: il patriarcato islamico è sbarcato a Milano"
«Quando ho visto quelle immagini pensavo venissero da Teheran. Invece no: a Milano, in piazza Duomo, c’era un pezzo di società islamica patriarcale che urlava contro l’Italia. Tutti uomini, perché nella loro subcultura la donna è una prigioniera». Tiziana Maiolo, ex assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano durante la seconda giunta Albertini nonché deputato dal ’92 al 2001 prima con Rifondazione Comunista e poi con Forza Italia, non ci sta. «Non è stata una ragazzata, come può essere quella di un gruppetto di giovani che si ubriaca a Capodanno: si è trattato di qualcosa di organizzato. E questo non può che preoccuparci».
Maiolo, li chiamano italiani di seconda generazione...
«E un italiano può insultare il proprio Paese e le sue forze dell’ordine? Questi ragazzi saranno pure nati e cresciuti qui, saranno pure andati a scuola almeno fino alla terza media imparando la nostra lingua, vivranno pure in una città progredita come Milano, ma sono razzisti contro l’Occidente. Avevano anche bandiere palestinesi, un segnale politico molto preciso con cui di fatto si dà sostegno ai terroristi del 7 ottobre. Mi piacerebbe conoscere le loro famiglie...».
Eppure Milano si vanta di essere la città più accogliente d’Italia.
«Il progetto d’integrazione del Comune è totalmente fallito ma delle responsabilità importanti le ha anche la scuola. Se non riesci a integrare nemmeno i figli degli immigrati significa che hai sbagliato linea sulle politiche sociali. Aprire le porte indiscriminatamente a chiunque, così come ha fatto la sinistra a Milano, è sbagliato e questo è sotto gli occhi di tutti: bisogna prima occuparsi di anziani, che rappresentano il 30 per cento della popolazione cittadina, disabili, bambini e poveri. Solo se si integrano bene tutti gli italiani si può pensare di accogliere nel migliore dei modi gli stranieri. Ma questo la sinistra milanese non lo ha ancora capito. A partire da Majorino, mio successore in assessorato...».
Qualcuno pensa che lo ius soli possa favorire l’integrazione. Cosa ne pensa?
«Non sono d’accordo. Quello che va fatto, perché è ciò che manca, è creare una vera interazione tra le istituzioni locali, parlo del Comune ma anche dei singoli Municipi, e la società. Vanno fatte delle vere e proprie radiografie sia a chi è appena arrivato sia alle seconde generazioni: solo così si possono far allineare alla nostra cultura. Se a Milano funzionassero bene i servizi sociali e ci fosse una capillare attenzione di chi sta sul territorio nei confronti delle famiglie straniere, sarebbe tutta un’altra storia. Vanno bene dunque le zone rosse, perché il controllo della polizia è necessario, ma urge un controllo sociale. Il mitra spianato non basta. E la città è quasi allo sfascio: manca collaborazione e dunque integrazione. Si va avanti solo perché sono bravi i milanesi».
Si riferisce alle vergognose rivolte del Corvetto?
«Esatto. Il Corvetto, dove tra l’altro ho vissuto non appena 15enne sono arrivata a Milano dall’Emilia, ti dà l’immagine di questi giovani immigrati che vivono una situazione di invidia sociale. Vogliono la moto grossa e i bei vestiti ma allo stesso tempo nessuna regola. La fuga dai Carabinieri (che ha portato alla morte di Ramy, ndr) è stata una sfida: “Tanto non ci prendete”. Sono ragazzi che crescono in modo asociale facendo gruppo solo tra loro. E qui torniamo al punto di partenza: anche se crescono in Italia non si sentono italiani, anzi sono attratti dagli angoli d’illegalità».
Cos’è cambiato a Milano dagli anni in cui faceva l’assessore a oggi?
«Sicuramente l’immigrazione è aumentata a dismisura e oggi il lavoro da portare avanti è senza dubbio più difficile. Però mi ricordo quando dovemmo affrontare la crisi del Darfur (nel 2003, ndr): feci appello ai privati per garantire ospitalità e lavoro ai rifugiati politici in fuga dall’Africa a causa della repressione nei loro confronti. I flussi vanno sempre controllati. Se a casa mia ho una stanza libera posso farci stare al massimo quattro persone, non quaranta. Aprire a tutti significa star male tutti».
Tornando al tema islam, l’amministrazione Sala ha dato il via libera per la costruzione della più grande moschea del Nord Italia. Un rischio?
«Io sono laica ma non si può impedire a una comunità di avere il proprio luogo di culto: la libertà religiosa va sempre tutelata. Certo, ci sono stati parecchi episodi di imam che istigavano al terrorismo e c’è il tema molto scivoloso dei finanziamenti alle moschee. Senza dimenticare i sermoni: vanno fatti in italiano, non possiamo usare degli interpreti per capire cosa viene detto. Pensi che anni fa, durante una trasmissione, un imam mi disse: “Se lei si veste all’occidentale, io mi emoziono”. Gli risposi che era un problema suo, mica potevo mettermi il burqa! Ecco, sulle donne chiuse in gabbie, più che in vestiti, per nascondere il proprio corpo, non si deve tacere come fanno le femministe per paura. Questa è una subcultura che va invece violata».
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Nel 2027 a Milano si vota. Su cosa si giocherà la partita?
«Sicuramente sul tema dell’immigrazione e su quello della sicurezza. Mentre l’ecologista Sala vive sulla sua nuvoletta, pensando a marciapiedi sempre più larghi e piste ciclabili che intasano il traffico favorendo lo smog, aumentano rapine e scippi per strada. Per non parlare delle buche... La sinistra resterà penalizzata perché non vuole aprire gli occhi. A proposito: il nostro sindaco, dopo tre giorni dai fatti di Capodanno, non ha ancora detto una parola. È normale? Guardando quel pezzo di società islamica arrampicarsi sul monumento di piazza Duomo, è chiaro che è giunta l’ora di cambiare».
Il nostro problema ha un nome. Oriana Fallaci ce lo aveva detto