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Milano, il divieto di fumo a meno di 10 metri dai passanti nuoce gravemente alla libertà di tutti

Pietro Senaldi
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Questo non è lo sfogo di un tabagista abbruttito che difende gli ultimi spazi di libertà rimastigli per consumare il suo vizio fuori casa. Ho sempre guardato come dei marziani coloro che sfidano freddo e pioggia ed escono dall’ufficio o dal ristorante intabarrati per ciucciare avidamente quel maleodorante tubo di scappamento portatile che si chiama sigaretta e prendersi influenza e mal di gola. Sono un mezzo talebano, provo per loro una certa disistima: esseri umani, schiavi soddisfatti di un dispensatore di nicotina, che la società allontana perché nuocciano il meno possibile al prossimo. Condivido la proibizione di fumare negli uffici, nei luoghi pubblici, perfino nei parchi e allo stadio. Però a tutto c’è un limite, anche all’integralismo. Perciò ritengo che il primo gennaio 2025 la mia città, Milano, introducendo il divieto di aspirare tabacco in strada a meno di dieci metri di distanza dal prossimo, non faccia un passo in avanti verso un ulteriore progresso bensì ne compia uno indietro verso il Medio Evo, l’epoca dei tabù, dei dogmi, delle verità assolute, che nove volte su dieci erano castronerie bigotte e arruffapopolo. La mia è la riflessione di uno spirito che ambisce a essere libero, insofferente alle proibizioni inutili, dove inutile sta per eccessivo, persecutorio, che porta un vantaggio minimo rispetto all’obbligo che infligge.

Lo so, anche il fumo passivo uccide: chine è esposto regolarmente vede aumentare del 25% i rischi di infarto e tumore al polmone e dell’80% quelli di ictus. Uno studio fatto a Wellington, in Nuova Zelanda, spiega poi che la sigaretta ha effetti deleteri nel raggio di nove metri, quindi il sindaco Beppe Sala, per non sbagliare, ci ha aggiunto cento centimetri in più e forse crede così di averci messo tutti al sicuro. Per la verità, se la nostra metropoli tascabile fosse come Wellington, una città giardino a misura d’uomo, noi milanesi potremmo fumare sei-sette sigarette al giorno e avere i polmoni più puliti di quelli che abbiamo oggi senza accendere neppure una bionda; ma non si può chiedere l’impossibile, soprattutto a questa amministrazione. Da anti-fumatore maniaco quale sono, una persona che sente di respirare letame e introdurre nel proprio corpo elementi tossici ogni volta che intercetta l’odore di una sigaretta, sono convinto che dal primo gennaio, per colpa di questa norma liberticida, l’aria in città sarà più pesante, anche se diminuiranno le sigarette.

 

 

Non di sola salute e prevenzione vive l’uomo... Siamo già il Comune dei divieti, dei trenta all’ora messi anche per dispetto, dei parcheggi cancellati con un tratto di pista ciclabile per costringerci a non usare l’auto, delle multe agli anziani che danno da mangiare ai piccioni e ai bambini che gettano molliche alle paperelle perché... chi lo sa? Con una densità di 7.520 abitanti per chilometro quadrato, la norma equivale a un divieto assoluto di fumo all’aperto, tranne forze da mezzanotte alle sei del mattino. Quante vite pensa di salvare, Sala, impedendo un incrocio di pochi istanti con il fumo passivo cosiddetto di seconda mano? E perché allora non punisce anche quello di terza mano, parimenti nocivo, che sarebbe quello che resta nell’ambiente, a lungo, dopo che il fumatore se ne è andato?

C’è da confidare negli impegni più seri che hanno polizia locale e forze dell’ordine, i quali hanno di fatto ignorato il precedente divieto imposto dal sindaco di fumare alle fermate del bus, comminando solo sette multe in tre anni. Anziché inseguire Ramy e Fares in fuga nella notte in motorino verso il Corvetto, secondo la sinistra meneghina illuminata i nostri agenti farebbero bene a dare la caccia al fumatore di passaggio. Perché per loro l’allarme sicurezza è questo in città, anche se la percentuale di tabagisti è in costante calo e ormai solo un italiano su cinque ha il vizio. Il 31 dicembre sera mi accenderò nelle strade di Milano l’ultima sigaretta da uomo libero e la prima da paladino dei diritti dei tabagisti.

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