Se la nuova Milano piena di turisti ha perso lo sguardo di sant'Ambroeus
Sant’Ambroeus l’è sant’Ambroeus. Almeno per i milanesi. Il patrono dei meneghini non fa sciogliere il sangue o altri particolari miracoli, se non uno: portare i milanesi sotto la Madonnina, per un giorno senza fretta, quietamente. Ecco, questo è il piccolo grande prodigio che tutti noi, virgulti non più verdissimi di questa inesausta metropoli aspettavamo il 7 dicembre. Sant’Ambrogio era la festa che apriva la strada al Natale e come un piccolo cammino verso la celebrazione della Natività di Nostro Signore andava vissuta. Il giorno di Sant’Ambrogio si apriva con placida sonnolenza: oltre i vetri la nebbia che bagnava i vetri, all’interno la preparazione del presepe con le statuine di misure diverse, Giuseppe e Maria giganteschi, i cammelli minuscoli come cagnolini da salotto, l’immancabile visita al vicino di casa che iniziava a settembre ad allestire la sua formidabile Natività con le pietre del mare e il muschio raccolto nelle gite a caccia di funghi. Poi, dopo pranzo, si usciva per recuperare il necessario ad addobbare l’albero e un presepe almeno dignitoso. «Andiamo agli Obej Obej», diceva papà. «Uh, gli Obej Obej!».
E si partiva, tutti insieme, per questa gita cittadina, anticipo di feste e bontà non più irraggiungibili. Gli Obej Obej erano lì, dove dovevano essere e dove erano sempre stati: a sant’Ambrogio, sotto lo sguardo di Sant’Ambrogio intorno alle pietre medievali della basilica dedicata al patrono che il 7 dicembre dell’Anno Domini 374 fu acclamato vescovo a furor di popolo e perciò, quel giorno gli fu dedicato quale omaggio imperituro. Ci si aggirava nella piazza che circonda la basilica, tra bancarelle di piccolo artigianato locale con lo sguardo trasognato mentre ci raccontavano, come ogni anno, che quella fiera era nata nel lontanissimo 1288 e i bambini poveri la aspettavano, vogliosi quanto noi, golosi come noi, tanto da regalare alla fiera il sempiterno nome: «O bej, o bej». A nostri occhi di bambino, obej obej erano soprattutto le enormi frittelle di un carretto all’ingresso della Cattolica, che spuntavano da un pentolone di olio fumante su un gran braciere e dalle sapienti mani di un mangiafuoco dolce e zuccherato. Poi c’era la bancarella delle statuine con cui arricchire, anno dopo anno, il presepe di un mestiere nuovo, e quella delle luci dell’albero, il cui allestimento era il premio finale della giornata, quasi che con quelle luminarie fossimo riusciti a portare un po’ delle luci della festa fin dentro casa nostra. Quest’anno la nebbia è tornata. Ma le vie intorno a Sant’Ambrogio sono buie. Gli Obej Obej, da anni, non sono più qui di casa.
Troppo poco lo spazio, avevano detto, troppe le bancarelle di cianfrusaglie etniche a cui dover dare ospitalità. Molti milanesi non sanno nemmeno più dove sia la loro fiera. «È quella intorno al Duomo», dice qualcuno. «No, è quella al Castello Sforzesco», dice qualcun altro. Qualcuno pensa che sia la grande esposizione dell’Artigianato che si svolge alla fiera nuova. Del resto, i milanesi hanno smesso di andare a piedi a salutare il loro santo alla sua basilica e sotto la Madonnina. Nell’epoca dell’homo turisticus i milanesi i mercatini li vanno a visitare in montagna. Il centro della loro città la lasciano ad altri turisti giunti da chissà dove in cerca di specialità di cui non conoscono il nome né la provenienza. E che prendono e divorano tutto, golosi come eterni bambini, ignari di ogni bellezza, indifferenti allo sguardo silenzioso di Sant’Ambroeus.