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Corvetto, ecco come è morto davvero Ramy

Pietro Senaldi
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La verità per Ramy Elgaml? «È che sarebbe ancora vivo, se lui e il suo amico, Fares Bouzidi, che guidava il Tmax che si è schiantato dopo sette minuti di inseguimento per tutta Milano, con punte di 130 chilometri orari di velocità, si fossero fermati all’alt dei carabinieri». Parola di Ilario Castello, segretario del nuovo sindacato dei carabinieri. Con noi parlerà solo nelle vesti di sindacalista, davanti a una pizza nella caserma Montebello, senza rilasciare commenti né indulgere in particolari sui fatti di sabato notte, perché è un militare e c’è un’indagine in corso a carico di un collega per omicidio stradale.

“Tutti odiano la polizia” è lo slogan coniato dai centri sociali per cavalcare la protesta di stasera, al Corvetto, dove la sinistra extraparlamentare si salderà con i figli degli immigrati, i cosiddetti italiani di seconda generazione. «Se tutti ci odiano, come mai in meno di 24 ore la raccolta fondi per pagare la causa al collega indagato per omicidio stradale ha superato i 20mila euro e contiamo di raggiungere il tetto dei 50mila per domani?» replica Castello. «Si ipotizzano disordini alla manifestazione programmata per oggi al Corvetto, gli ultimi giorni sono stati troppo tranquilli, qualcosa cova. Il rischio banlieue è ormai realtà». Si teme l’arrivo di quelli dei centri sociali di Torino, i più pericolosi. Gli stessi che ieri hanno ferito sei agenti negli scontri a margine dello sciopero generale. L’obiettivo è anche delegittimare il decreto sicurezza, quello che dà alle forze dell’ordine i mezzi per combattere la delinquenza. Sono diventate loro ormai, le paladine dei cittadini onesti, il bersaglio numero uno di chi vuole destabilizzare il sistema.

 

 

 

IL RUOLO DEI CARABINIERI
La verità per Ramy è che i carabinieri che lo hanno inseguito, contro i quali oggi si scaglierà la rabbia dei centri sociali, che cercano di fomentare una guerra etnica e politica ma a fianco dei quali si è invece stretta la popolazione, hanno fatto di tutto per salvare lui e il suo amico. E non solo per il tentativo di rianimazione operato subito dopo lo schianto, dal militare oggi indagato. Nel folle inseguimento notturno, le forze dell’ordine avrebbero avuto più di un’occasione per provocare un incidente, ma hanno sempre tenuto il piede sull’acceleratore sollevato quel minimo che bastava. La speranza dei carabinieri è che il video nelle mani della Procura lo dimostrerà.

In via Ripamonti, la macchina dell’Arma aveva affiancato per metà il Tmax, evitando accuratamente di tamponarlo. Come prima, in via Moscova, quando la terza auto dei militari aveva fatto il giro per tagliare la strada ai ragazzi in fuga ma li aveva aspettati ferma, senza investirli lasciandogli lo spazio perla frenata, per evitare il peggio, sperando in un impatto morbido. Lo scontro c’è stato, ma la moto è rimbalzata e schizzata via, restando sulle due ruote. Come altri impatti ci sono stati doco, leggeri, con almeno un’altra auto, privata, nel traffico. E in via Ripamonti, angolo via Quaranta, il luogo della caduta fatale? «Sono caduti, ha detto il collega alla radio», racconta Castello.

DINAMICA DELLA MORTE
Bouzidi era stato ormai raggiunto, è arrivato vicino al benzinaio e ha tentato un diversivo: entrare a sinistra, per poi svoltare subito a destra e uscire di nuovo, confidando con la manovra di ottenere un vantaggio rispetto ai carabinieri. Probabilmente voleva raggiungere il Corvetto, il quartiere che conosce a menadito, la sua tana. Però il Tmax, lanciato a più di cento all’ora, è slittato sulle rotaie del tram e ha perso aderenza. Il guidatore ha provato a frenare e così non è riuscito a infilare il passo carraio, sbattendo contro il marciapiede.

La caduta è stata inevitabile e la moto si è schiantata contro il muro. Come conferma l’autopsia, Ramy, che aveva già perso il casco vicino al Tribunale, a causa di un sobbalzo provocato da un dosso preso a tutta velocità, è andato a sbattere con la parte sinistra del torace contro il palo del semaforo sul quale un secondo dopo si sono schiantati anche i carabinieri; meno probabilmente, contro il muretto. L’impatto è stato tremendo, ha provocato la lesione dell’aorta, con conseguente emorragia: una sentenza inappellabile di morte.

Gli amici di Elgaml, che lo hanno raggiunto in ospedale, hanno spintonato i carabinieri. C’è stata tensione, ma sono stati i primi a capire che i militari non avevano colpe. Poi qualcuno è arrivato nel quartiere e ha montato la loro rabbia. Sono stati gli estremisti del centro sociale “Cuore in Gola”, ai Navigli, che per oggi hanno chiamato i torinesi di Askatasuna, i picchiatori. «La protesta di domenica sera è stata spontanea, quella di lunedì e quella di oggi, no» spiega Castello.

Verità per Ramy, chiedono ma quella c’è già. La verità che oggi si cerca si chiama vendetta. E per i centri sociali questo significa colpire le forze dell’ordine. «Prima o poi tra di noi ci scapperà il morto» profetizza il brigadiere. «Noi siamo quasi tutti terroni, ma Milano la conosciamo meglio di chiunque altro: i figli degli immigrati partono la sera dal Corvetto o da piazza Selinunte per i loro raid nelle zone della movida, dove rubano e rapinano». Lo scooterone di Bouzidi non era stato fermato per caso, lo curavano da ore, mentre faceva la spola, avanti e indietro. «È credibile rischiare la vita così per evitare il sequestro di un mezzo, bruciare tutti i rossi con tre auto dei carabinieri alle costole?», domanda il sindacalista.

 

 

 

LA FAMIGLIA DI RAMY
Chi ha capito tutto è la famiglia di Ramy, che dal primo momento condanna la violenza e invita alla calma. Il padre si è dissociato dalla manifestazione di stasera. Conosceva il suo ragazzo, da sette mesi perso in strada, senza lavoro e con precedenti per rapina. Anche il fratello maggiore, il più arrabbiato, che lavora facendo sicurezza in eventi privati, invita alla calma e non attacca le forze dell’ordine. La più preoccupata invece è la sorella di Fares, che ormai vive fuori dal quartiere, ha studiato e ha un lavoro regolare. Lo sforzo di tutti è evitare un’escalation della violenza, fuori e dentro il quartiere. Ma questo ai centri sociali e a chi vuole rivoltare tutto contro le forze dell’ordine non importa.

 

 

 

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