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Beppe Sala, Corvetto a ferro e fuoco: perché è il fallimento del modello Pd

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Fabio Rubini
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Dove diamine è finito il sindaco di Milano, Beppe Sala? La sua città è in fiamme, da due notti gli abitanti del Corvetto sono ostaggio di bombe carta, cariche di facinorosi armati di spranghe, figlie di una rivolta di immigrati di seconda generazione, che nemmeno nelle banlieue parigine. E lui che fa? Tace. Anzi per dirla alla Enzo Jannacci l’ha fà gnanca un plissé. E dire che il futuro “federatore della sinistra” in queste settimane aveva parlato di tutto, dal nucleare alle elezioni americane, passando per le consuete polemiche contro Regione Lombardia. E negli anni passati, più volte era intervenuto per spiegare che avrebbe riqualificato le periferie. Sul Corvetto, inevece, Sala ha perso la favella. Silenzio assoluto. Pare per motivi di opportunità istituzionale. Meglio lasciar parlare il prefetto.

Sarà, ma i cittadini shoccati dai fatti di queste notti, forse una parolina dal loro sindaco l’avrebbero pure gradita. Il silenzio di Sala, unitamente al fallimento del modello Pd, sono stati gli elementi che hanno animato il dibattito politico in città. «Chi sfoga violenza e comportamenti incivili attentando alla vita di donne e uomini in divisa e mettendo in pericolo i cittadini è un delinquente da punire senza clemenza - tuona il leader della Lega, Matteo Salvini, che si chiede -: ma vi pare normale? È questa la società che vogliono gli “accoglienti e solidali”? Altro che “provenienti da Paesi a rischio”, sono loro ad essere un rischio per il nostro Paese». Restando in casa Lega: «Dopo tre giorni di guerriglia non abbiamo sentito nemmeno una presa di posizione dal sindaco», lamenta Alessandro Verri, capogruppo del Carroccio a Palazzo Marino, che rammenta come Sala «in otto anni si è presentato al Corvetto solo per i suoi video social e per la campagna elettorale». Tra l’altro in una di queste occasioni venne pure contestato dagli abitanti. «La drammatica realtà di questa periferia è completamente ignorata dalla sua giunta», chiosa Verri. Sul silenzio di Sala ha parlato anche Christian Garavaglia, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale: «L’amministrazione di Sala ha privilegiato una visione di città che esclude chi vive le difficoltà quotidiane, favorendo invece un’immagine patinata di Milano destinata a pochi. Il silenzio del sindaco su quanto accaduto è assordante».

 

Di «ferita al cuore della città» parla invece Gianluca Comazzi, assessore regionale al Territorio e consigliere comunale a Milano: «Questa escalation di violenza getta un’ombra cupa sul livello di sicurezza della città. Anziché vantarsi delle classifiche sulla qualità della vita, chi amministra la città torni sul pianeta terra e investa concretamente in sicurezza. Mi auguro - chiude Comazzi - che gli esponenti della giunta abbiano un sussulto di orgoglio e reagiscano a questa violenza con azioni concrete». Il suo collega di giunta, Romano La Russa, che ha la delega alla sicurezza evoca «un giro di vite senza se e senza ma, iniziando con gli sgomberi degli abusivi. Nel quartiere ci sono numerosi alloggi popolari occupati soprattutto da immigrati, non mi stupirei se centinaia di persone che hanno compiuto questi atti di guerriglia urbana arrivassero da lì».

IL FLOP DEL COMUNE
Oltre al silenzio del Comune, l’altro tema è il fallimento delle politiche migratorie della sinistra. Di questo parla, ad esempio, Stefano Maullu, deputato milanese di Fdi, che parla di «un’escalation di violenza che non lascia sorpresi» e che è il «frutto di un’immigrazione senza regole, di un’edilizia popolare che ha saturato questi complessi residenziali, creando le condizioni per lo sviluppo di una subcultura lontana dai nostri valori». E ancora: «Il sindaco e le amministrazioni di sinistra che si sono susseguite alla guida di Milano hanno precise responsabilità rispetto a un modello “di integrazione” che ha fallito completamente». Per Maria Stella Gel mini (Noi moderati) «da San Siro al Corvetto il pericolo di banlieue in fiamme esiste eccome». Riccardo De Cora to, storico esponente di Fdi, arriva ad evocare «un decreto in stile Caivano, ovvero una misura atta a tutelare il decoro di questa particolare periferia, garantendo così anche la sicurezza urbana». E da Bruxelles si leva la voce dell’eurodeputato leghista Silvia Sardo ne: «C’è una giunta fallimentare. Anche questa volta sarà colpa della polizia? Che cosa ha fatto per le periferie in questi anni? Perché la sicurezza è vissuta come fastidio dalla sinistra?». 

La risposta a queste domande arriva in giornata da alcuni esponenti dem che, non senza una buona dose di coraggio, addossano la colpa a governo e Regione. Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd al Pirellone, spiega che «al Corvetto non basta l’azione ferma e netta per contrastare ogni forma di illegalità, azione che è ovviamente necessaria. Servono anche interventi di recupero sociale, formazione e prevenzione». Azioni che spetterebbero al Comune. Tocca invece alla capogruppo a Palazzo Marino, Beatrice Uguccioni, puntare il dito contro il governo: «Salvini, la Lega e il centrodestra sbagliano destinatario: dovrebbero lamentarsi con Piantedosi per la gestione dell’ordine pubblico». E ancora: «Il Comune di Milano è presente nei territori e investe in Welfare e Coesione sociale la gran parte del suo bilancio, lavorando in sinergia con il Terzo Settore. Lo fa anche al Corvetto». Ma a giudicare dai risultati non si direbbe.

 

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