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Burro fuorilegge, il ristorante che rivoluziona la cucina del Nord

Stefano Corrada
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Le stelle stanno in cielo cantava Vasco, a volte stanno nelle guide gastronomiche. Non stanno più in via Petrarca nella deliziosa dimora del ristorante “Tano passami l’olio”. Infatti l’ultima edizione della rossa, dopo un ventennio di riconoscimento continuativo, ha dimenticato il locale di Simonato. Ma lui non è certo uno che si butta giù: un mattatore tra i fornelli e in sala, dove serve e allieta personalmente i suoi ospiti (massimo una ventina ogni sera), spiegando per filo e per segno ingredienti, metodi di cottura e olio extravergine in abbinamento.

Sì perché di burro qui non se ne vede, né nelle pietanze salate e nemmeno nei dolci. Lui, nonostante sia milanesissimo del quartiere Precotto, da trent’anni usa solo extravergine, che considera il re dei grassi alimentari, l’oro giallo che sta alla base di ogni sua creazione. E di cui lo chef è maestro e ambasciatore. Parliamo tanto del personaggio perché mentre in altri locali la figura dello chef si completa o si alterna con quella del ristoratore, del patron o dell’oste di antica memoria, qui nella patria dell’extravergine Gaetano Simonato detto Tano è deus ex machina, protagonista assoluto.

L’esperienza, la mano precisa, la fantasia galoppante, la conoscenza del mestiere, la delicatezza del trattamento delle materie prime rappresentano gli elementi distintivi del ristorante. Il tutto si armonizza alla perfezione con gli spazi ariosi della sala da pranzo, i toni caldi dati dal rosso veneziano delle poltroncine che si alterna alle tonalità tendenti al dorato alle pareti.

Traspare non il lusso ma l’eleganza, la bellezza della serenità e il benessere che si respira a pieni polmoni. Lo stesso vale per quanto arriva in tavola: piatti ricercati, articolati e nel complesso equilibrati. Con il giro d’olio che è sempre la ciliegina finale, l’elemento che Tano riserva a completamento ed esaltazione della maggior parte dei piatti. Il valzer delle pietanze è una danza che circolare che non conosce interruzioni. Si inizia con l’amuse bouche realizzato da una doppia sfoglia sottilissima di patata che fritta si gonfia e viene farcita con mousse di robiola, adagiata su crema allo champagne e guarnita con erba cipollina ed emulsione di peperoncino.

Poi il crescendo fa un balzo, ecco il piatto che più il nostro palato rimpiange che sia finito: il tiramisù di seppia. È un godurioso e appagante savoiardo salato con crema di seppia, emulsione di mascarpone, patata e olio, ricoperto di farina di seppia e topping di tagliolini di seppia.

 

Si continua con il pesce, crudo, ovvero la gallinella servita a ceviche, con tutte le sue verdure (carota rossa, pomodoro, cipolla di tropea e carciofo marinato e fritto), profumata all’aneto e polvere di barbabietola rossa. Poi doppietta di carni. La prima una pernice, servita in millefoglie con mela caramellata, mela disidratata e foie gras e guarnita con caramello al Caldiff. Poi il piccione, al cioccolato e frutti di bosco, con sfera di fegatini. A seguire un’invenzione giocosa, un cubo di pasta, che potrebbe definirsi raviolo aperto, con ragù di agnello, profumato all’anice stellato e condito con crema di barbabietole rossa e menta. Si conclude in dolcezza, estrosa e sorprendente, con una sfoglia con gel di pomodoro, mousse di basilico e crema pasticcera al limone. Ovviamente all’olio extravergine di oliva. Ça va sans dire.

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