Cenati si dimette dall'Anpi: "Gaza, non è genocidio". E gli amici lo insultano per strada
Cenati, non c’è proprio modo che lei ci ripensi? «No. Le mie dimissioni sono irrevocabili. Questa decisione mi addolora molto ma è l’unica possibile. Non condivido affatto la linea dell’Anpi nazionale sulla Palestina e non posso far finta di nulla».
Roberto Cenati, 71 anni, guidava l’Anpi provinciale di Milano dal 2011 (è iscritto dal ’97). Ieri mattina, però, ha annunciato le sue dimissioni di fronte all’assemblea dei presidenti di sezione e al comitato provinciale. Stop. La scelta, del resto, era già nell’aria da giorni: alla base di tutto il disaccordo sulla parola “genocidio” usata dai vertici dell’associazione dei partigiani per definire la reazione di Israele all’attacco terroristico perpetrato da Hamas il 7 ottobre scorso. La sua, ormai, è una posizione più che minoritaria all’interno dell’associazione. Tanto che ieri, i militanti in piazza San Babila a Milano per l’ennesimo corteo anti-Israele, hanno applaudito alla svolta. «Menomale che se ne è andato. Si vergogni». Sabato prossimo, giusto per intenderci, Anpi e Cgil hanno indetto una manifestazione nazionale tra le cui parole d’ordine c’è il classico «impediamo il genocidio».
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Questa parola, usata così, le è andata proprio di traverso...
«Sì, perché si tratta di un termine coniato da un giurista ebreo polacco, sfuggito ai nazisti prima in Svezia e poi negli Stati Uniti, che indica uno sterminio programmato e scientifico di un intero popolo.
Beh, non è quello che sta succedendo in Palestina: Israele, infatti, vuole annientare Hamas, non sterminare il popolo palestinese. Poi mi vengono a dire che parlare di “genocidio” è solo una questione lessicale: no, non è così. Se lo dice un cantante a Sanremo è un conto, se lo dice l’Anpi un altro. Vede: non è una questione di forma, ma semmai di linea».
E la sua linea sul conflitto qual è?
«Bisogna partire dal barbaro attacco da parte di Hamas, che ha ucciso civili innocenti a una festa, preso ostaggi e commesso nefandezze di ogni tipo. Poi c’è stata la reazione da parte di Israele, che ha tutto il diritto di difendersi. Non dimentichiamoci, infatti, che Hamas vuole la distruzione di Israele. Detto ciò, la reazione è stata esagerata perché ha prodotto un bagno di sangue tra i civili, bambini, donne e anziani. Netanyhau non ha accolto l’appello di Biden sulla tregua: credo sia la prima volta che Israele non ascolti un presidente americano...».
I vertici dell’Anpi si difendono dicendo che anche il Tribunale del’Aja parla di genocidio. Cosa risponde?
«Hanno estrapolato questo termine dall’istruttoria portata avanti dal Tribunale internazionale ma appunto si tratta di un’istruttoria. Non c’è ancora una sentenza, dunque...».
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Vede una deriva dell’associazione in chiave antagonista?
«Non mi piace parlare di deriva ma in tutti questi cortei, a cui io non ho mai concesso l’adesione come comitato provinciale di Milano, abbiamo notato un miscuglio di realtà, dalle comunità palestinesi ai centri sociali ai cobas, che ha portato a un’estremizzazione pericolosa. Si urla “from the river to the sea”, ovvero dal Giordano al Mediteranneo, e questo significa volere la cancellazione di Israele. Addirittura si paragona il genocidio, quello sì, degli ebrei da parte dei nazisti alla questione palestinese. Ed è così che anche in Italia l’antisemitismo crece in maniera esponenziale».
Il 25 aprile si avvicina. La Brigata Ebraica, a Milano, è stata spesso oggetto di contestazioni da parte degli antagonisti. E quest’anno sarà la prima festa di Liberazione dopo l’inizio del conflitto...
«A Milano ho organizzato dodici volte il 25 Aprile e la mia bussola è sempre stata l’unità, tenendo ottimi rapporti col Comune, con la Regione Lombardia, col questore, col prefetto e con la comunità ebraica, all’insegna dell’inclusività. L’anno scorso è filato tutto liscio ma quest’anno il rischio che ci siano casini penso sia abbastanza alto...».
L’Anpi sta cambiando?
«Vede, il rischio è cercare di sostituirsi ai partiti, vista la loro crisi, ma intervenire continuamente sulle questioni di governo non è compito dell’associazione. Il suo ruolo, infatti, è quello di tenere viva la memoria e la storia, contrapponendosi ai nazionalismi, al razzismo e all’antisemitismo. Con uno sguardo, ovviamente, alle nuove generazioni. Bisogna recuperare i valori della Resistenza. Libertà non significa fare quello che si vuole disinteressandosi degli altri».
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L’antifascismo è il grande cavallo di battaglia della sinistra, più o meno radicale. Per lei esiste davvero un allarme nero?
«La storia non si ripete mai ed è sbagliato fare accostamenti tra passato e presente. L’antifascismo fa parte della nostra Costituzione che parla di eguaglianza tra cittadini e non va usato come slogan. Vittorio Foa, nel suo Il cavallo e la torre, scriveva che antifascismo significa lottare contro i pregiudizi per un mondo migliore».
Cenati, ora cosa farà?
«Leggerò... E resterò nel comitato provinciale dell’Anpi. Non me la sento più di stare in prima linea».