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Strage nella Rsa, bombolette da stadio e impianto antincendio bloccato

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La morte dei sei anziani nella Rsa milanese non è stata una tragedia imprevedibile. Ne sono convinti gli investigatori e i magistrati che indagano per omicidio colposo plurimo a seguito di incendio. Perché la strage di via dei Cinquecento è una catena di lacune e burocrazia, di sottovalutazione del rischio, di fondi mai stanziati e di leggi che consentono di "aggirare" i problemi in attesa di soluzioni che non arrivano mai. Cesa Giuzzi rivela infatti sul Corriere che nella struttura l’impianto antifumo era fuori uso da più di un anno e mezzo. Il bando del Comune che avrebbe dovuto dare il via ai lavori non era ancora concluso.  E la sorveglianza antincendio della struttura affidata a un addetto esterno in nome delle "misure di compensazione".

 

 

Tutte cose note. La Rsa, spiega il Corsera, era infatti tappezzata di volantini su carta intestata della Proges (la coop di Parma che gestisce la Rsa) e firmati dalla direttrice Claudia Zerletti dove venivano rilevate "alcune problematiche degli impianti di rilevazione fumi delle due strutture" tanto che «nel turno notturno 01 – 07 (ove cala il personale) sarà presente in struttura un addetto di un’azienda specializzata nella lotta antincendio ad alto rischio (si alterneranno due addetti)». Altri volantini erano stati appesi accanto agli "avvisatori acustici", ovvero le bombolette da stadio, fissate su alcune pareti. In caso di emergenza l’allarme andava diramato così. L’ultimo controllo dell’Ats alla Rsa risale a tre settimane fa e non erano state riscontrate gravi irregolarità. Il bando straordinario del Comune è fermo "alle buste", in attesa quindi dell’assegnazione dei lavori.

 

 

Le domande di fondo però rimangono. Com’è possibile che in una Rsa destinata a 173 ospiti, molti dei quali infermi o affetti da Alzheimer, l’impianto di segnalazione dei fumi nelle stanze sia fuori uso? Perché in alcuni reparti — come quello teatro della tragedia — gli allarmi dei degenti, quelli accanto al letto e collegati con gli infermieri, non erano funzionanti? E come è possibile che in servizio, in una struttura tanto vasta e dalle così gravi criticità (sanitarie e non solo) ci fossero in servizio solo 5 operatori socio sanitari e un’infermiera? Sono le domande alle quali dovranno rispondere le indagini aperte dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Maura Ripamonti

 

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