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Beppe Sala, sveglia: tra le piste ciclabili di Milano cresce la disperazione

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Simona Bertuzzi
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Non è più Milano, non quella che ricordavamo. Delle strade in cui camminavi sicuro che nulla accadesse. Del centro che era scintillante ma traeva linfa vitale da periferie laboriose e sobrie. Del disagio che permeava i palazzoni popolari ma era percepito, ascoltato, raccolto. E non c’era scollamento. Non c’era frizione...

Guardatela oggi. Una ragazza stuprata nell’ascensore della Stazione Centrale da un marocchino irregolare che l’ha trascinata nell’abisso e pestata a sangue mentre le telecamere riprendevano l’orrore.

E una neonata partorita e poi buttata nel cassonetto dei vestiti Caritas dove si raccolgono i maglioni lisi per i poveri e lei sporgeva con la placenta appiccicata addosso come una vecchia bambola intinta nella colla. E adesso la sinistra al governo della città, e il sindaco Sala tanto bravo a occuparsi dei problemi nazionali quanto a trascurare quello che avviene fuori da palazzo Marino, ci racconteranno che non c’è nesso, non c’è rapporto... è solo un caso. Ma questo è l’esercizio di chi nasconde la polvere sotto al tappeto. La realtà è che c’è un divario sempre più netto tra la Milano degli affari, del design, delle fiere internazionali e dei progetti faraonici. E quella che vive fuori dal Quadrilatero o dalla Montenapo. Area b, il famigerato provvedimento che ha imposto il divieto di accesso alla città a chi possiede una macchina vecchia, non è un fatto accidentale e trascurabile. 

 

E’ solo l’ennesimo regalo di una giunta che, dichiarando guerra alle auto e inondandoci di piste ciclabili, piazze tattiche, aree a 30 all’ora (che peraltro hanno fatto sparire tutti i parcheggi), ha semplicemente reso impossibile la vita di migliaia di lavoratori. Basterebbe farsi un giro il sabato mattina da Pane Quotidiano, un’associazione che distribuisce sacchetti di viveri agli indigenti, per comprendere quanto i numeri del successo meneghino, i prezzi esorbitanti degli immobili, (6167 euro al metro quadro, una casa nuova) e i localini alla moda dei Navigli e di Brera, dove mangiare costa un occhio della testa, siano il paravento e l’attenuante perfetta dietro cui si cela un disagio sempre più profondo. 

La fila dei poveretti (non senzatetto, badate, ma persone che lavorano e non hanno abbastanza soldi per pagarsi la spesa) è talmente lunga che stringe in una morsa il campus della Bocconi e costringe a girarsi dall’altra parte perché “dai non è possibile, non è quella Milano”. Per non parlare dello spettacolo indecoroso dei clochard stesi sui materassi per strada, dei caseggiati popolari del Giambellino o San Siro dove le vecchine dormono con le orecchie dritte perché nessuno venga di notte a forzare le loro porte, e dei bivacchi di irregolari in centro e poi in Centrale. Corpi lunghi che si allungano sulle aiuole coi loro zaini e non sanno dove andare e come racimolare il pranzo. E assembramenti che sono terreno fertile per spacciare, spillare portafogli, rubare vite. 273 clandestini espulsi in tre mesi solo in Centrale e 1800 interventi di polizia in un anno per persone moleste e disagio psichico vi paiono dati irrilevanti?

Non è un vezzo domandare di girare sicuri nella propria città. E invece le ragazze prendono il taxi la sera per non trovarsi in balia di sconosciuti. E sui treni del metro c’è un gingle che ti dice “guardati le spalle” perché c’è rischio che una borseggiatrice incinta ti infili la mano in tasca e ti porti via tutto. Poi c’è il grande tema delle famiglie lasciate in un limbo che grida vendetta. La notizia è passata sotto silenzio.

Ma nel capoluogo lombardo, che le classifiche mondiali mettono in cima alle città preferite dagli stranieri e dalle startup, ci sono 3800 bambini che non hanno trovato posto al nido e altrettante mamme che non sanno se a settembre potranno tornare a lavorare perché il Comune non ha i soldi per accudire i loro figli. In compenso i soldi si trovano per perseguire un’ideologia green che succhia risorse e tempo e non ha migliorato di un milligrammo l’inquinamento a Milano. Non sappiano nulla di quella bimba trovata morta nel cassonetto, è vero. Ma è la terza neonata abbandonata in un mese nella città che può tutto e sfida ogni record. Qualcosa in fondo vorrà dire.

 

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