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Beppe Sala predica bene e razzola male: le accuse "storte" a Matteo Salvini

Enrico Paoli
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Magari è solo tattica. Magari anche no. Perché con Sala, Giuseppe detto Beppe, attuale sindaco di Milano con la passionaccia per la politica, sbocciata nel suo petto come un sol dell’avvenire quando Matteo Renzi, allora segretario del Pd (sembra un’era fa, ma è appena ieri), lo scelse per guidare il Comune di Milano, non sai mai se parla il manager o l’aspirante premier. Tanto più ora, essendoci di di mezzo i fondi del Pnrr e le nuove regole del Codice degli appalti, la capacità di spendere e la necessità di accelerare i cantieri.

Ecco, proprio perché i titoli sono quelli, il Sala uno e trino irrompe sulla scena, mettendo sul piatto il manager che critica il governo - «Se avessi potuto gestire il Pnrr come avrei potuto gestirlo quando ero manager avrei fatto in maniera totalmente diversa...»- e il politico che dà lezioni- «avrei dato non solo indicazioni, ma avrei messo un sistema di controlli strettissimo, avrei verificato le singole stazioni appaltanti quanto sono in grado di investire, avrei visto la vetustà o meno di quei progetti» - disorientando un po’.

 

Verrebbe da dire: predica male, ma razzola bene Perché nel ragionamento di Sala non è difficile intravedere un velato attacco al Codice degli appalti, appena varato dal governo, e un’evidente critica all’attuale esecutivo, e alla sua maggioranza, sul tema del Pnrr. Facciamo un passo indietro, allora.

Torniamo al Sala manager di Expo, finito nelle grinfie della giustizia per una vicenda assurda, nei confronti della quale Libero ha sempre avuto una posizione chiara, difendendo l’attuale sindaco di Milano. Pensate un po’ se a dirigere il «traffico» dei lavori fosse stato il codice degli appalti di oggi e non le regole assurde di allora, contestate all’epoca anche da Renzi. Sala non solo non sarebbe finito nel tritacarne della giustizia, ma avrebbe guidato le operazioni con maggior scioltezza. Fra quel che dice oggi e quanto avvenuto allora la contraddizione è evidente.

 

Quanto ai fondi del Pnrr, agli eventuali riparti dei soldi non spesi, difficile dare torto a Sala quando sostiene che non devono essere persi e assegnati a chi è più bravo. Ma non certo a prescindere, visto che Beppe, in pratica, va dicendo in giro «dateli a me e non ad altri». «Lavoriamo bene per quanto si può sul Pnrr, perché i fondi residui ci sono, da Bruxelles non c’è volontà di allungare i tempi, noi tutti quei soldi dobbiamo investirli entro giugno 2026 ed è domani mattina. Stiamo perdendo un’occasione storica e la politica rischia di essere un’altra volta sul banco degli imputati», dice il primo cittadino del capoluogo lombardo, «poi vai a capire se Draghi, Meloni o Sala, nel suo insieme la politica, farà la figura di quella che ha perso un’occasione storica». E qui il dualismo, Sala e il so alter ego, riemergono con forza. Il sindaco è davvero convinto di aver fatto bene i compiti a casa? Oppure a parlare è il manager che in lui, facendo capire che Beppe, i soldi, li sa spendere. Sì, ma le regole allora? Magari è solo tattica. Magari...

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