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Milano, ArtTribune boccia Brera: “Quartiere in decadenza”, chi e cosa ha rovinato la zona

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Enrico Paoli
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Degrado. Degrado e dehors. Ma anche malamovida e un «turismo volgare», lontano anni luce da quello «culturale» di un tempo. E poi le barriere in cemento, i famosi Jersey, messi lì per garantire la sicurezza. Il loro scopo è evitare attentati contro la Pinacoteca. Giusto. Anzi, saggio. Ma invece di produrre l'effetto Beirut con quei pezzi di cemento nel centro del centro di Milano, perché Brera è come il birillo rosso sul tavolo da biliardo, davvero non si può fare di meglio? Magari colorali, renderli meno «volgari». Basta poco, in fondo. Basta volerlo, però. Ecco, questa è Brera secondo il magazine Art Tribune - la piattaforma di contenuti e servizi dedicata all'arte e alla cultura contemporanea che ha dedicato un ampio reportage a questo tassello di Milano, dove i turisti guardano in alto indicando il basso, stregati da tutto e tutti: «Wonderful»... Sì, bella la Pinacoteca... «Le pittoresche ma anguste strade di Brera oggi sono talmente strozzate dalle strutture dei dehors, che si percorrono con fatica, soprattutto con le carrozzine che non trovano liberi i percorsi lastricati sul ciottolato», sostiene l'architetto, e docente universitario, Renata Cristina Mazzantini, che firma il servizio, «strutture eterogenee, per lo più in plastica, nate come provvisorie, quindi non studiate o tantomeno approvate dalla Soprintendenza, che sfregiano l'architettura, svilendo con cartelli, banconi-bar e peluche». Un giudizio impietoso, quello della professionista, ma non certo decontestualizzato. Brera, oggi, ha davvero bisogno di cure. Amorevoli cure, diciamo.

L'affondo di ArtTribune, com' è logico, è andato di traverso a residenti e commercianti, pronti a difendere la «loro» Brera. «Il nostro non è un quartiere chic», esordisce Micaela Mainini, titolare dello storico Bistrot Jamaica, luogo di ritrovo anche culturale, e presidente dell'Associazione Noi di Brera, «ma popolare, per tradizione e formazione. Chi ha comprato casa qui con due lire, un po' di anni fa, e oggi vorrebbe solo silenzio e strade tirate a lucido, dovrebbe cambiare zona. Brera non è quella cosa lì. È un quartiere vivo e vivace. Certo, i dehors sono un problema, sono la prima ad ammetterlo, ma non lo sono certo i tavoli all'aperto. Quelli ci sono sempre stati e qui non invadono tutto, come all'Isola o in altre zone della città (Franco Spirito, rappresentante dell'Associazione ProArcoSempione, ci ricorda come all'Arco della Pace la situazione sia peggiore, quanto a degrado e «tavolino selvaggio», ndr). A creare questo disagio visivo sono le norme della burocrazia, le disposizioni della Soprintendenza. Tutto a norma in via Brera, tutto a casaccio pochi metri più in là. Questo, semmai, è il vero nodo da sciogliere». Un tema, quello dei vincoli e delle carte bollate, mica da poco in un contesto di questo tipo.

VOGLIA DI RIPARTIRE
Milano ha dentro di sè la voglia di ripartire, lo vedi pure sulle facce di chi cammina qui, sul birillo rosso del biliardo, ma ha dietro sè ancora le tracce del dolore, del post pandemia. «Svanito il sogno della Grande Brera, molte gallerie l'hanno abbandonata», sostiene ArtTribune, «insieme con alcuni nomi altisonanti della moda e del design, da Gucci a Bottega Ghianda, per trasferirsi là dove ancora si passeggia ammirando le vetrine». «È vero, in due anni abbiamo perso po' di vetrine», ribatte la Mainini, «ma molti stanno riaprendo. E questa onda va sostenuta. Con tutti i mezzi a disposizione. Brera è stato il quartiere dei bordelli e delle puttane, è stato una piccola città dentro la città. Oggi non è più così, ovvio, ma non possiamo nemmeno immaginare di trasformare l'area nella Galleria o in un'altra via Montenapoleone. Bastano già quelle...». Forse il senso del dissenso sta tutto lì, in quel voler marcare il passo rispetto al resto. E camminando fra Fiori Chiari e Fiori Oscuri, lambendo via Pontaccio, quel profumo di un epoca sparita lo percepisci. Anche se sei solo un turista o un importato a Milano. Il turismo di massa, ma questo in tutte le città d'Italia, ha levigato la storia, piegandola alle necessità del presente.

PROVVISORIETÀ
Tant'è che anche ArtTribune sottolinea come «le costruzioni provvisorie diventano permanenti, occorre mettere in campo una progettualità più consapevole della tutela del paesaggio», afferma la Mazzantini. «In Brera ci sono delle zone abbandonate a se stesse», ribatte la Mainini, «e questo è innegabile. Ma imporre uno stile uguale per tutti, relativamente all'occupazione del suolo pubblico, è davvero quello che serve? L'omologazione per legge non è un gran risultato. Il bello e il brutto di oggi, parlando di dehors, dipende dalle regole attuali». Insomma, un compromesso, alla fine, andrà pur trovato. Ma senza rinunciare ad una cifra capace di dare a Brera un suo connotato specifico. Dal quale, forse, ci siamo un po' allontanati. «Non possiamo mettere all'indice i commercianti», evidenza Alessia Testori, responsabile dell'agenzia Testori Comunicazione, con sede in Via Fiori Chiari, «quando in altre zone della città tavoli e dehors si sono allargati a dismisura. Semmai c'è da mettere sotto controllo la movida notturna, con i giovani fuori controllo». Perché la malavodida, oggi, sono loro. Le bande di ragazzi compromesse dal lockdown e frustrate dal ritorno alla normalità. Risse e sbronze sono un altro tassello del complesso mosaico di Brera. E poi ci sono le barriere anti attentato, piazzate lì dopo i fatti di Nizza: un'altra ferita aperta. «Si potrebbe cominciare con la sostituzione dei guard-rail con delle sculture, riprendendo un'idea proposta tramite il Bilancio Partecipativo al Comune», propone ArtTribune.

MILLE PROPOSTE
«Abbiamo avanzato mille proposte all'amministrazione comunale», gli fa eco la Mainini, «compresa quella di coinvolgere giovani artisti per decorarle, magari con un concorso. La sicurezza è fondamentale, ma anche il decoro lo è». Eccome se lo è. Al punto che in Brera, comitati e istituzioni varie, non tutti vedono la questione allo stesso modo. Solo che i dehors ti vengono incontro, mentre passeggi, i Jersey no. Stanno fermi lì, quali moderni monumenti in attesa di chissà quale Godot... 

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