Mughini: Se per lo Stato truffatori e onesti pari sono
Doppia misura: per un ritardo nelle tasse devi pagare interessi e penali. Ma se un tuo inquilino è moroso non puoi fare nulla
Se non è una giungla questa cui siamo arrivati in Italia, nel pieno di una crisi economica dov'è lotta selvaggia per il reddito di tutti contro tutti. Ho passato ieri metà della mattinata a tempestare di telefonate gente che mi aveva commissionato un lavoro, lavoro che naturalmente ho fatto e di cui ho emesso fattura. Un corno, scadono abbondantemente i termini di pagamento concordati e non arriva un euro. Scuse grottesche da parte di chi non paga. Parlo di lavori fatti quattro mesi fa, tre mesi fa. È la legge del libero lavoro professionale. O meglio è la legge della giungla, di cui volenti o nolenti siamo divenuti tutti abitanti. Ieri mattina, mentre ululavo di rabbia al telefono, pensavo alla valorosa segretaria della Cgil, Susanna Camusso, quella che ripete 24 ore al giorno che ad essere torchiati fiscalmente sono i lavoratori dipendenti, laddove quelli delle professioni libere, noi partite Iva, altro non facciamo che spassarcela con le escort ed evadere fiscalmente. Camusso e sodali - Tutte le volte che sento pronunciare dalla Camusso e dai suoi sodali la parola «lavoratori», subito mi inorgoglisco e penso che abbiano un occhio ai miei problemi, che non sono di vita e di morte, ma di cui una società che si vuole moderna e civile non può non tenere conto. Le condizioni che sono divenute belluine quanto a ritardi nei pagamenti di tutti, e beninteso dopo che i ricavi professionali di noi tutti sono scesi nella media del 50 per cento e mentre si impenna sino all'oscenità il prelievo fiscale, un prelievo reso necessario dalla nostra sopravvivenza come Paese industrializzato moderno. Premetto: non sto chiedendo un centesimo allo Stato. Lo so che un governo responsabile in questo momento può solo promettere sudore e lacrime. Sto solo raccontando una condizione reale, dato che noi partite Iva non abbiamo una Camusso che ci rappresenti. L'unica difesa possibile è l'evasione fiscale, una difesa ampiamente praticata entro ai confini dello Stivale. E quelli di noi che non possono evadere neppure un centesimo? Non che io non le conosca le statistiche relative alle dichiarazioni dei redditi delle varie categorie professionali, o meglio la vergogna di quelle dichiarazioni, da cui risulterebbe che molti di quelli che fanno professioni liberali un tempo prestigiose dichiarano un reddito di che mangiare due volte al giorno solo se vanno alla Caritas. Non è che non la abbia sperimentata di persona la tenacia sovrumana che ci vuole a estrarre una fattura da un avvocato o da un artigiano o da un medico. E se è vero quel che dice il mio amico Luca Cordero di Montezemolo, che il fatto di avere una Ferrari non ti connota per essere un manigoldo fiscale, è altrettanto vero che se uno ha una Ferrari e dichiara 30-40 mila euro lordi l'anno di reddito, quello è un manigoldo fiscale calzato e vestito. Ma proviamo a raccontarla l'Italia reale di oggi, la giungla di cui ho detto. Ci sono i dati macroeconomici, di per sé agghiaccianti. La recessione in atto, nuda e cruda. L'aumento vertiginoso delle ore di cassa integrazione chieste dalle aziende e pagate dallo Stato. La disoccupazione giovanile che ha toccato il suo record olimpico. Il fatto che gli italiani stanno prosciugando i loro «tesoretti» in banca. Famiglie del ceto medio che a milioni sono state restituite all'economia della pura sussistenza, quel «poveri eravamo e poveri siamo tornati» di cui ha scritto Giampaolo Pansa in un suo libro. Alla fine di questo lungo elenco c'è anche la condizione reale e quotidiana di chi fa un lavoro e dovrebbe essere pagato di volta in volta. I pagamenti che non arrivano, la banca che sul tuo «rosso» ti fa pagare interessi a due cifre che crescono continuamente, il prelievo fiscale spietato non solo quanto alle aliquote ma quanto ai tempi della riscossione, riscossioni e «acconti» i cui tempi erano stati fissati un millennio fa, al tempo delle vacche grasse. E ancora. Uno Stato buffone che di proteggere il creditore non ce l'ha nemmeno nel suo dizionario. A partire dal fatto che lo Stato è il maggior pagatore in ritardo del Paese, come sanno bene i 50 imprenditori che si sono suicidati perché non ce la facevano più a non riscuotere le ingenti somme di cui erano creditori verso lo Stato. E poi c'è qualcuno di voi che abbia dato una sua casa in affitto (tutto in bianco, tutte le tasse pagate), e l'inquilino non pagava e voi non potevate fare nulla di nulla di nulla per scomodarlo? E ancora. Avete mai provato a chiedere un decreto ingiuntivo contro qualcuno di cui era divenuto smaccato il fatto che non pagasse? Se va bene, ci vogliono quattro-cinque mesi per ottenerlo. Dopo di che, questo Stato di buffoni dà 40 giorni di tempo al manigoldo che non paga per opporre appello. Divenuto esecutivo il decreto, vi ci potete pulire le zampe del vostro cane dato che ovviamente il manigoldo non ha intestato a suo nome neppure un posacenere. L'ingiustizia - E ancora, quanto ai tempi di riscossione fiscale. L'anno scorso erano tali le cifre che non riuscivo a incassare dai miei lavori, che ho ritardato il pagamento di un rateo Iva. Beninteso, ho dichiarato al fisco sino all'ultimo centesimo quello che dovevo, solo che non avevo di che pagare perché non pagavano me. Sono passati alcuni mesi, sto pagando il mio debito fiscale a rate. Va bene così. Ma perché il fisco mi fa pagare oltre che gli interessi (com'è sacrosanto), anche una «penale»? Razza di bastardi, non è che io vi stessi nascondendo un euro del mio reddito, e dunque meritassi una «penale», è che quegli euro non me li avevano pagati. E non è che quelli che mi pagano con tre o quattro mesi di ritardo rispetto ai patti mi diano un centesimo di interessi. Tutto qui, cara Camusso, caro fisco. di Giampiero Mughini