Lucio Dalla e la sinistra: quell'amore mai nato
Cattolico, di sinistra ma moderato, non è mai stato militante, Lucio non cantava nel coro, perla rara nel mare della musica italiana
Nel 1967, quando in Europa già ribolliva la protesta, Lucio Dalla litigava con un comunista. Dietro la cinepresa c'erano i fratelli Taviani e lui interpretava Ermanno, un ventenne lunatico (come tanti emiliani) con volto e corpo pelosi che gli appioppavano almeno due decadi in più. Il film si chiamava I sovversivi e raccontava di un gruppo di ragazzi scesi a Roma per assistere ai funerali di Berlinguer, tra i quali appunto il tormentato Ermanno. Costui doveva aiutare l'amico Muzio - militante dalla fede incrollabile - a realizzare un reportage fotografico, ma la rigidità dei suoi compagni lo indispettiva e la discesa romana finiva in rissa. Sarà che la coincidenza è suggestiva, ma Lucio Dalla ha molto a che spartire con quel sanguigno Ermanno. Il cantautore morto ieri a Montreux (come il grande scrittore russo Vladimir Nabokov, un altro ben difficile da incasellare) era una perla rara nel mare della musica italiana. Forse tutto quel pelo che gli avvolgeva il corpo l'ha protetto, rendendolo impermeabile alle facili fascinazioni ideologiche che hanno avvinto i suoi colleghi. Ieri tutti politici di tutti i colori, intellettuali e sindacalisti s'affannavano a tirarlo per la giacchetta; domani probabilmente sentirete cento interpretazioni diverse del suo pensiero politico. Di sinistra, diranno molti, tirando in ballo l'attenzione per i poveri e gli sfruttati, dal barbone di Piazza grande fino alla prostituta della Nanì cantata a Sanremo. Eppure fin dall'inizio i suoi testi, più che di drammi sociali e di rivoluzioni da infiammare, parlano di individui, di amore, dolore e, sì, anche preghiera. «A modo mio/ avrei bisogno di pregare Dio», cantava per le strade di Bologna, ed era il 1972. Del 1990 è il brano Comunista, che guarda caso parla ancora di Cristo («Canto... L'uomo che è tutta una croce/ L'uomo senza più voce/ L'uomo intirizzito/ L'uomo nudo, straziato/ L'uomo seppellito»). E del resto Gesù Bambino è il suo soprannome in 4/3/1943. Non deve stupire più di tanto - ma a quel tempo scatenò un bel putiferio - la sua tardiva professione di fede, nel 2007. Intervistato dal quotidiano online cattolico Petrus disse: «Non sono mai stato né marxista né comunista. Mi sono esibito alle manifestazioni di sinistra perché sono un professionista: gli organizzatori mi hanno pagato e io ho cantato. Non credo che un cattolico - perché io tale sono - debba rifiutare le offerte che gli vengono fatte solo per una questione ideologica». Aggiunse di essere contro l'aborto e il secolarismo, e di apprezzare il nume tutelare dell'Opus Dei, San Josemaria Escrivà. Tutte balle? Forse un po' d'esagerazione, ma la fede c'era, Dalla a messa ci andava eccome. Pur accompagnandosi spesso alla truppa degli impegnati e originando dalla Bologna rossa di Guccini, non si è mai prestato al giochino dell'intruppamento. Con Francesco De Gregori, nel '79, ha pubblicato il live Banana Republic, ma il titolo è probabilmente il tratto più politico. Per il resto, Dalla ha dipinto l'intimità e le sue turbe, quando ha raccontato la periferia lo ha fatto attraverso due persone (Anna e Marco). «Sono di sinistra ma non mi è mai piaciuta la mentalità che delega il cambiamento al lato “collettivo” della politica. Le cose non si cambiano solo con le piazze, si inizia anche dagli individui», disse a Repubblica nel 2008. Sulla sinistra, nello stesso periodo, cavò fuori giudizi roventi: «La sinistra italiana deve aggiornare il suo linguaggio e i suoi tempi. La distanza tra la realtà e la politica è enorme», disse. E nella raccolta di scritti Gli occhi di Lucio (Bompiani) si mise a spiegare che i progressisti si sono sempre sentiti, a torto, «più astuti del proprio competitore e culturalmente imparagonabili con la destra», salvo poi snocciolare consigli di lettura da far impallidire: Evola, Céline, Pound... Con tanti applausi dal Secolo d'Italia. Di sinistra, dunque, ma libero. E moderato. Nota è la sua vicinanza al Psi negli anni '80, quando frequentava la famiglia Craxi. Comodo, quand'erano in auge: ma Lucio, alla morte di Bettino, dedicò un concerto «all'amico che non c'è più». Più di recente, si è distinto per aver appoggiato Giorgio Guazzaloca e la sua lista di centrodestra nella corsa per la poltrona di sindaco di Bologna. Di pochi giorni fa, invece, l'ultima polemica. Contro Sanremo e contro Celentano: «Non credo ci sia mai stato un Festival peggiore. È inusuale un cantante che s'improvvisa sociologo e per cinquanta minuti tiene in ostaggio l'Ariston quando farebbe bene a cantare e basta». Il Molleggiato risponde oggi dalle colonne del manifesto. Un piccolo testamento l'ha detto negli studi dell'emittente Leitv, nel 2009: «I politici al mio funerale? Un buon motivo per non morire». Purtroppo non è bastato. di Francesco Borgonovo