Ecco la maledizione di Sarkozy Chi lo tocca muore
Dai giornalisti ai politici, ma anche giudici e poliziotti: il presidente ha fatto saltare la testa di chiunque lo abbia intralciato
È un libro tinto di sangue. Il titolo brucia sullo sfondo buio della copertina. L'ha pubblicato Stock in Francia ed è stato scritto da due grands reporters di Le Monde, Gérard Davet e Fabrice Lhomme. “Sarko m'a tuer” (“Sarkò mi ha ucciso”, scritto con un voluto errore di grammatica), si chiama la storia di tutti coloro che – come dice Dominique Villepin alla fine del libro – sono votati al rogo in quanto avversari di Sarkozy. Una specie di algoritmo fatale. La definizione migliore l'ha fornita proprio lui, figlio di un senatore, avvezzo agli ambienti diplomatici molto chic, dotato di una cultura insolente che Sarkozy non è mai riuscito a sopportare. Sarkò è allo stesso tempo carnefice e vittima di sé stesso, secondo la famosa frase dei “Journaux Intimes” di Baudelaire. Ne hanno fatto le spese tutti. Giornalisti, giudici, politici, poliziotti, prefetti, anchorman televisivi, perfino comici. Tutti coloro che si sono spinti più in là, in una critica, in una decisione che non ha incontrato il favore dell'inquilino dell'Eliseo, pagando il fio con l'esilio. Jean Hugues Matelly, 45 anni, ai vertici della Gendarmeria francese. Il suo crimine è stato quello di avere criticato pubblicamente il dogma sarkozysta sulle cifre della delinquenza. Matelly, a cui è stato dedicato anche un libro (“L'Affaire Matelly”, Jean– Claude Gawsewitch, ottobre 2010), è stato il primo ufficiale di polizia della storia francese a venir radiato con un decreto del Presidente della Repubblica. La criminalità è sempre stata una delle armi più potenti del Presidente che si è nutrito di racailles e della lotta contro la delinquenza per diventare un ministro dell'interno di ossidiana e poi scalare l'Eliseo. Il Consiglio di Stato, nel gennaio del 2011, ha annullato la radiazione dai quadri della polizia di Matelly giudicando la sanzione «manifestamente eccessiva». Alain Genestar. Siamo nell'agosto del 2005, in Normandia. Fa caldo anche lì. L'après–midi si annuncia tranquillo per il direttore di Paris Match, uno dei settimanali più famosi e ricchi di cultura giornalistica del mondo intero. Il suo cellulare squilla. Dall'altro capo del filo c'è lui, Sarkozy. È infuriato. Non usa mai le mezze misure: «Tu sarai responsabile di un dramma – gli dice – anzi erutta come un vulcano. Non dimenticherò mai quello che hai fatto». Alain Genestar l'ha fatta proprio grossa, anzi direttamente fuori dal vaso. Ha pubblicato una fotografia di Cécilia Sarkozy, abbracciata al suo amante Richard Attias, mentre passeggiano tranquilli a New York, all'Upper East Side. Non pago di aver fatto il suo mestiere, quello del giornalista, ha corredato la fotografia galeotta anche di un titolo più sanguinoso ancora: «Cécilia: l'ora della scelta». Un disastro. Lo costringono a lasciare la direzione di Paris Match. A lanciarlo fuori, con in mano la cassetta contenente i suoi effetti personali, è il suo editore, Arnaud Lagardère, intimissimo di Sarkozy. Il Presidente è non soltanto vittima dei suoi odi demoniaci, ma anche di una forma di dipendenza morbosa dalle sue donne. Molti, nel libro, sostengono che in numerosissimi incontri al vertice, Sarkò abbia passato una parte sovrabbondante del tempo al telefono con Cécilia, soprattutto quando il legame stava cominciando a scricchiolare. Davet e Lhomme ne hanno anche per la questione finanziamenti illeciti: nel loro libro il giudice Isabelle Prévost-Desprez rivela che ci sono testimonianze su Sarkozy in persona ricevere soldi da Liliane Bettencourt. Ma la testimonianza che fa più sangue, comunque, resta una in particolare. Jacques Dupuydauby, 65 anni, un immobiliarista famoso, che probabilmente deve la sua sfortuna e la sua discesa nel baratro al fatto di avere in qualche modo rivaleggiato con Vincent Bollorè, un industriale che è anche uno dei migliori amici di Sarkò. Dupuydauby si ricorda del Presidente quando aveva 28 anni ed era il sindaco di Neuilly. Invitato a pranzo, Sarkozy rifiutò di parlare di qualunque altra cosa se non di quella per cui si era praticamente autoinvitato: l'argent. Aveva l'ossessione delle elezioni e voleva sapere se Dupyudauby fosse disposto a finanziargli la campagna elettorale. Poi cominciò a parlargli della sua carriera. Gliela descrisse con un aplomb inconsueto per un giovane di 28 anni. Una volta eletto deputato sarebbe divenuto segretario di Stato, poi Ministro, poi sarebbe andato a Matignon come Primo Ministro e, infine, all'Eliseo. Si era studiato anche il modo di far digerire legittimamente i finanziamenti. Sarkò è avvocato e quindi avrebbe fatto ogni tanto qualche fattura all'azienda di Dupuydauby et voilà, il gioco è fatto. Sarkò tirerà fuori dalla tasca un piccolo contrattino, anzi un progetto di contratto. Dupuydauby restò choccato ma comunque dirà a Sarkò che non mangerà mai del pane dalle sue mani e che gli unici soldi da versare ai suoi avvocati saranno quelli guadagnati perchè lavorano. La risposta di Sarkò è peggio di un destino segnato: Me ne ricorderò. Manterrà la parola e sarà acciaio puro. Oggi, che si comincia ad avvertire l'odore di un cambiamento per la fortuna di Sarkozy, Dupuydauby ha intenzione di scrivere un libro per cui ha già un titolo in testa: “L'imposteur”. di Alberto Pezzini