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Paragone: la piazza non basta per far ripartire il Carroccio

Le urla contro Monti servono a poco: da qui ai congressi il partito deve recuperare smalto, avvicinarsi ai sindaci e scordare il Cav

Giulio Bucchi
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 primo che non si esalta è proprio Roberto Maroni, cioè colui che a detta di molti sarebbe il vincitore della partita. Che un po' vincitore lo sia è fuor di dubbio: se Marco Reguzzoni non è più il capogruppo alla Camera e se i componenti del cerchio stanno litigando tra loro e se infine certe fatwe si sono volatizzate come foglie al vento, beh il punto va assegnato all'ex ministro dell'Interno. Ma attenzione a credere che basti un'aspirina per curare una malattia grave. Il Bobo da Lozza lo sa bene. Oggi la Lega va in piazza contro il governo Monti ma anche per farsi il tagliando. L'immagine che dovrà uscire è quella di un movimento che sta discutendo ma che ha anche ritrovato compattezza e unità interna, di un movimento che è il solo a fare opposizione a Monti. Nei confronti dell'attuale premier arriveranno attacchi durissimi: la penalizzazione del Nord, l'eliminazione del federalismo dal carnet di riforme, la riforma delle pensioni, l'assenza di legittimazione popolare saranno alcune delle frecce che scaglieranno contro il professore premier. Tutto abbastanza prevedibile. L'imprevedibile - Quello che non è prevedibile riguarda l'impatto degli ultimi quindici giorni sulla base. La serata maroniana ha rinverdito l'entusiasmo dei militanti e ha ridato gas a quell'elettorato moderato che aveva votato Lega (o l'avrebbe votata) proprio perché attratta dall'azione dell'ex ministro. Il punto messo a segno col cambiamento del capogruppo basta per ripartire meno sfilacciati ma non è di per sé sufficiente a far cambiare pelle al movimento. Lo strapotere della famiglia, certi investimenti all'estero, l'uso del potere per consolidare proprie posizioni personali restano un'ombra che va sgombrata. La figura di Bossi, nell'elettorato del centrodestra, ha sempre catturato consensi e simpatie perché… selvaggia nel panorama politico italiano: una figura imprevedibile, anarchica, dal grande fiuto politico. Ora come ora però anche Bossi è normalizzato; la sua leadership esce ammaccata più che dalla malattia da certe cattive scelte (dal figlio come braccio destro agli investimenti in Tanzania). Bossi aveva bisogno di uscire da quell'angolo cui la cerchia di cattivi consiglieri lo aveva infilato. L'essere stato al fianco di Maroni e l'aver preso una decisione sulla nuova scelta del capogruppo gli consentiranno di ragionare più serenamente sul futuro del Carroccio. Al pettine - I nodi da affrontare sono tanti. Su tutti quello della guida politica: Bossi non può essere contemporaneamente guida simbolica e guida operativa del movimento. Il governo tecnico e il modo in cui si è arrivati a Monti aprono una nuova stagione politica che i partiti dovranno “vestire”. Chi pensa che tutto possa tornare come prima s'illude (anche per questo la mossa della legge elettorale è quanto mai strategica): l'ala moderata è destinata a crescere; Pd e Pdl avranno bisogno di smaltire l'appoggio all'esecutivo del professore; la sinistra radicale e l'Italia dei Valori dovranno decidere dove mettere quel gruzzoletto di consenso maturato finora. E pure la Lega avrà bisogno di indirizzare lo sguardo su un progetto politico non più subalterno al Pdl (come è accaduto negli ultimi mesi, trascinata dal «berlusconismo di ritorno» di Bossi, di Reguzzoni, di Cota, di Calderoli e di Castelli) e dove il federalismo non potrà più essere la fatica di Sisifo che finora è stata ma dovrà essere a misura degli enti locali. La giusta alleanza - A tal proposito è un bene l'alleanza che Maroni ha stretto con i sindaci: sono loro l'asse forte del domani. Massimo Giordano in Piemonte, Attilio Fontana e Matteo Salvini in Lombardia, Flavio Tosi in Veneto, Gianluca Pini in Romagna sono la Lega non romanizzata. Contro di loro infatti si sta muovendo la vecchia guardia, cioè Cota, Reguzzoni, Castelli, Gobbo (che ha stretto l'accordo con Zaia per offuscare la vivacità di Tosi). Da qui ai congressi prenderà forma la nuova Lega: una Lega capace di tornare a essere sindacato del nord, attaccata al territorio prima ancora che ai ministeri e agli incarichi delle partecipate. Una Lega de-berlusconizzata ma anche de-tremontizzata, visto che anche l'abbraccio con l'ex ministro è stato fonte di tensioni in casa Lega specie tra gli amministratori locali. Oggi in piazza la Lega farà il rifornimento. Poi però dovrà controllare il motore fino in fondo. di Gianluigi Paragone

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