Lega, Paragone contro Bossi "Non è più lui il leader"
Il Senatur resta il simbolo, ma non è più in grado di fare la guida politica. Però lui e il 'cerchio magico' non cedono
Roberto Maroni, che è politico intelligente, sa benissimo che dopo l'iniziativa di mercoledì sera a Varese dovrà andare fino in fondo. E fino in fondo significa due cose precise: sostituire Marco Reguzzoni dal ruolo di capogruppo e vincere il congresso federale. In sostanza, depotenziare il ruolo che oggi ha il Cerchio magico nella Lega. Da tempo andiamo scrivendo che ci sono due leghe. Da una parte c'è la Lega di via Bellerio, composta dalla nomenclatura, dai dirigenti cooptati sulla base di amicizie strettissime e da certe figure (un nome su tutti: Belsito) le cui mosse sono assai discutibili. Dall'altra c'è la Lega dei gazebo, della militanza, la Lega che si sente diversa dagli altri. In mezzo la figura indiscussa di Umberto Bossi, il Capo a prescindere. Che resta Capo a prescindere anche quando sbaglia. Cos'è cambiato ieri? È cambiato che il Capo a prescindere non può essere più simbolo e guida contemporaneamente. Perché resti il simbolo intoccabile, il Capo a prescindere deve lasciare il ruolo di guida cioè di segretario politico. A chi? Beh, la risposta dipende dalla dura battaglia interna, da come andrà a finire. L'altro giorno sono stato a Varese. Erano anni che non vedevo nella culla del Carroccio una partecipazione così intensa, una folla così motivata. Forte dei suoi tre sindaci di fila lumbard, Varese era - anche in questo caso - una città leghista a prescindere. Eppure era da tempo che la Lega non riusciva a cambiare passo. Era indolenzita, forse schiacciata da piccole beghe interne dove il primo obiettivo del Cerchio magico erano di volta in volta i giorgettiani e poi i maroniani e poi quelli di Terra Insubre addirittura sospesi. Tutti questi, mercoledì sera, stavano in platea con l'orgoglio di chi finalmente era rientrato a casa. Ecco cosa c'era in quel teatro: c'era l'idea di aria nuova, di aver rimesso in moto le gambe della militanza. Insomma c'era l'idea di una Lega che tornava a fare e a essere la Lega al netto delle urla di Rosi Mauro, dei giochini di Reguzzoni, degli investimenti di Belsito. Ci voleva la fatwa contro Maroni per liberare il movimento dalle tante piccole fatwe che gli uomini del Cerchio magico avevano affibbiato contro i militanti più scomodi, col metodo della decisione presa dall'alto. La rabbia di Maroni ha fatto saltare il tappo. Certo, ora non potrà più tornare indietro: troppe sono le attese che il popolo leghista ha riposto nell'ex ministro dell'Interno e nel suo progetto di ripartenza. Forte è la rabbia - scaturita poi in cori da stadio - verso un certo modo di intendere la gestione del partito e il potere che queste posizioni concede. Il fatto che Bossi fosse lì non ha per nulla anestetizzato lo scontro interno. Il Senatur ha salvaguardato il suo ruolo di grande capo ma ha dovuto prendere coscienza di un mondo che ha mutato pelle. Maroni, pur dopo averlo sottratto dalle responsabilità della fatwa, glielo ha detto chiaro e tondo: così non si va avanti. Bobo ha indicato le persone che hanno avvelenato i pozzi. E la gente gli ha dato ragione con un'ovazione. La base si è schierata sotto le insegne di una Lega che nella visione maroniana è meno Braveheart e più Attimo fuggente (i barbari sognatori sono quelli del barbarico Yawp di Walt Whitman), di una leadership meno Oscar Wallace e più professor Keating. E infatti nel suo discorso di Varese Maroni, dopo aver servito di barba e capelli i nemici interni, parla da segretario politico tratteggiando quella che dev'essere la Lega prossima ventura. Parla di Europa delle regioni, di federalismo a misura di sindaci e amministratori locali, di immigrazione e di sicurezza. Un discorso da segretario a tutto tondo. Da guida del movimento. Certo, quei gradi se li dovrà andare a prendere. Non contro Bossi, il quale pur restando il simbolo non gli regalerà nulla (di questo Maroni dovrà prender coscienza). Ma contro chi di fatto già oggi indirizza Bossi verso alcune decisioni. Contro chi già guarda all'appuntamento di domenica come primo redde rationem. Contro chi difendere il posto di capogruppo o ne vorrà pilotare la successione. Contro chi ha in mano le casse del partito e pure il giornale (per quanto sull'edizione di ieri mancasse ogni minimo riferimento alla serata di Varese ma non un'ampia intervista a Rosi Mauro...). Chi insomma ha in mano la gestione di via Bellerio sempre più fortino della nomenclatura. La partita dentro la Lega è appena cominciata e l'impressione è che Bossi non potrà fare nulla per fermarla. di Gianluigi Paragone