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Stato immobile e sprecone: lascia 5 miliardi all'estero

Ottanta accordi internazionali potrebbero permettere recupero di parte delle imposte versate dagli investitori. Nessuno fa niente

Andrea Tempestini
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Un tesoretto dimenticato - stimato in oltre 5 miliardi l'anno - nelle casse del fisco. Letteralmente regalato al fisco dei Paesi dove i risparmiatori italiani investono. È un problema di doppia imposizione, uno dei problemi a dire il vero (l'altro è quello relativo alla doppia tassa applicata ai beni ereditati), problema che  decurta i dividendi. Una prima volta nel Paese in cui si è investito e un'altra in quello dove si fa la dichiarazione dei proventi. In teoria gli oltre 80 accordi bilaterali che l'Italia ha sottoscritto con altrettanti Paesi dovrebbero evitare agli investitori nostrani di pagare due volte. In pratica, però, il meccanismo non prevede un automatismo e quindi se non si fa domanda - e la procedura non è  semplice - per recuperare quanto si è pagato in più, la differenza di tasse rimane nei forzieri fiscali del Paese dove ha sede fiscale la società sulla quale si è scelto di “scommettere”. Morale: secondo una multinazionale  americana che recuperando parte di queste doppie tasse ha fatto affari d'oro fin dal 1992 (la Globaltax), a livello mondiale ogni anno finiscono per perdersi «centinaia di miliardi di dollari proprio a causa del meccanismo della doppia imposizione». Un esempio pratico aiuta a districarsi nella selva di norme e regolamenti diversi a seconda del Paese. Se si investe in Svizzera, o meglio in un'azienda con sede fiscale tra i Cantoni, la tassazione sui rendimenti o sul dividendo applicata sarà  del 35%. Una volta staccato il dividendo il fisco elvetico applica la tassa di competenza (il 35% appunto). Ma non basta. Perché come al cliente italiano arriva l'interesse sull'investimento lo Stato italiano applica la propria di tassa (che fino al 31 dicembre era del 12,5% lievitata dal 1 gennaio al 20%). Insomma, al povero investitore tocca oggi pagare una prima volta in Svizzera (o a secondo dell'aliquota vigente nel Paese d'investimento) e poi una seconda appena varcato il confine fiscale (in Italia). In teoria l'Italia proprio per evitare di far pagare due volte le tasse sul medesimo rendimento ha sottoscritto accordi bilaterali che prevedono generalmente per gli investitori un'aliquota a forfait del 15% sui dividendi (che scende al 10% sugli interessi delle obbligazioni di società). Quindi, nel caso della Svizzera, l'italiano potrebbe recuperare un dignitoso 20%. Peccato che la procedura sia molto complessa (tanto da coinvolge anche l'Agenzia delle Entrate) e che spesso neppure le grandi banche siano in grado di assistere il cliente. Morale: i rimborsi richiesti superano a stento solo il 10% del totale fiscale prelevato nei Paesi stranieri. All'Abi, l'Associazione bancaria italiana,  sono consapevoli del problema e le grandi banche si stanno attivando per vedere di recuperare capitali. Forse, però, sarebbe opportuno rendere automatico (e magari telematico) il sistema di richiesta. Cinque miliardi l'anno, per almeno tre anni  (termine medio per la prescrizione) fa la bella cifra di 15 miliardi. Che tornerebbero sui conti correnti degli investitori e porterebbero denaro fresco a tutto il sistema bancario e all'intero sistema Paese. Però servirebbe un intervento legislativo ad hoc. Sempre che la doppia imposizione fiscale interessi a qualcuno. A Bruxelles, almeno in materia di beni all'estero, si sta provvedendo. A fine dicembre è stato adottato un pacchetto sulla doppia imposta di successione. Si era arrivati al paradosso di dover vendere il bene ereditato per poter pagare le due diverse tasse. Per il momento è partita la “discussione”   tra gli Stati membri. Bisognerà vedere se anche in materia d'investimenti e doppia imposizione l'Italia vorrà  rivedere l'impianto normativo. Pagare le tasse è giusto, ma due volte forse è un po' troppo. di Antonio Castro

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