Napolitano si sente Napoleone Giorgio: "Lo Stato sono io"
Socci: Sceglie i governi, influisce su leggi e riforme, detta le regole del dibattito politico. Poteri che la Costituzione non gli dà
Ieri un noto sito di informazione si chiedeva se era normale che i vertici di Unicredit - impegnati nell'aumento di capitale all'insegna dello spot col tricolore - andassero in visita ufficiale al Quirinale. E si rispondeva: «Per il Sole 24 ore è tutto normale. Per noi, non tanto». E forse neanche per Monti lo è. Ma attorno a Napolitano accadono molte altre cose sulla cui normalità bisognerebbe almeno interrogarsi. E nessuno sembra disposto a farlo, perché sui giornali si usa solo la lingua osannante dell'apologetica e della celebrazione presidenziale. Eppure le domande restano tutte lì. Per esempio. È normale leggere - sempre ieri, sul Corriere della sera - le cose riportate nell'articolo di Marzio Breda (il quirinalista sempre molto informato sul Quirinale)? Ed è normale che tutti (dalla classe politica al Corriere stesso, che di solito insegna all'Italia il galateo delle regole istituzionali) le trovino normali? Vediamo. Breda ricorda anzitutto che, subito dopo la sentenza della Consulta che bocciava il referendum sulla legge elettorale, Napolitano intervenne - incontrando i presidenti delle Camere - perché si cominciasse subito a metter mano alle riforme istituzionali. In particolare sollecitò Fini e Schifani perché il Parlamento di corsa cambiasse la legge elettorale.All'azione! - «Ieri» riferisce Breda «è passato personalmente all'azione, il presidente, convocando al Quirinale i leader del Terzo polo. A Pier Ferdinando Casini, Italo Bocchino, Lorenzo Cesa e Francesco Rutelli (…) avrebbe detto: 1) le Camere non possono dissipare mesi e mesi in un dibattito sterile… 2) va fissato un calendario delle riforme possibili e sono pronto a farmene carico io stesso; 3) completerò il sondaggio con le altre forze politiche che sostengono il governo e alla fine girerò le conclusioni a Fini e Schifani». Ora, sarebbe interessante sapere quale articolo della Costituzione attribuisce al capo dello stato queste prerogative. A me sfugge, forse perché non sono un costituzionalista. Il professore Andrea Simoncini, che è docente di diritto costituzionale all'Università di Firenze, qualche settimana fa, in una intervista, faceva notare come - pur essendo stato Napolitano formalmente inappuntabile nella gestione della crisi di governo - «lo stile della presidenza sia improntato a un interventismo senza precedenti, al limite se non oltre la Costituzione». Non dice «contro» la Costituzione, ovviamente, ma «oltre» nel senso che nella prassi concreta, a fronte di una abdicazione dei partiti, si dilatano gli spazi del Quirinale. Più avanti infatti Simoncini spiegava: «È sicuramente uno dei presidenti più interventisti della storia della Repubblica. Certamente la sua prassi, dal punto di vista costituzionale, è innovativa, è tutta da studiare. Va da sé che ogni presidente della Repubblica ha avuto il desiderio di influire in qualche modo sul governo, ma nessuno l'ha mai messo per iscritto. Quella di Napolitano è la presidenza con il più alto numero di comunicati ufficiali, e basta andare sul sito del Quirinale e confrontarli con quelli dei suoi predecessori per rendersene conto. Napolitano è un presidente estremamente interventista». A una domanda del giornalista su qualche caso specifico di questi anni (come la vicenda Englaro), Simoncini rispondeva: «Il capo dello Stato dovrebbe intervenire solo su casi di alto profilo istituzionale, e su questioni inoppugnabili. Invece è entrato moltissime volte nel merito, non solo nel caso Englaro. Sono innumerevoli gli interventi e i rinvii di decreti legge in cui è entrato nel merito di provvedimenti che non hanno attinenza con il suo ruolo. Napolitano ha corretto il governo tantissime volte. In questo modo è andato ad occupare una posizione di indirizzo politico che non gli compete». Si potrebbero fare molti altri esempi, ma ciò che conta (lo sottolinea anche Simoncini) è il contesto «anomalo»: perché Napolitano col suo protagonismo in realtà non fa che riempire il vuoto lasciato dai partiti e dai politici, che sarebbero i veri titolari sia dell'azione di governo che della vita parlamentare. Infatti la nostra classe politica e i nostri partiti sembrano aver abbandonato la nave, abdicando al compito di governo: hanno delegato un tecnico mai eletto da nessuno (nominato un po' da Napolitano, un po' dai franco-tedeschi); poi neanche sono riusciti a fare un accordo politico e a nominare ministri politici (abbiamo un governo fatto da banchieri, ammiragli e funzionari); infine non sono riusciti a concordare un programma politico e se lo sono fatti imporre dalla Bce. Come se non bastasse neanche riescono a elaborare autonomamente un eventuale calendario di riforme in Parlamento, se non tramite l'iniziativa del capo dello Stato. E dire che per anni si sono lagnati della tendenza della magistratura a intromettersi nelle loro prerogative. Oggi sono loro stessi che hanno rinunciato al ruolo della politica. Cosicché in Italia attualmente comandano tutti fuorché coloro che si sono presentati alle elezioni e hanno avuto il voto dei cittadini. Quelli che comandano si possono elencare: la presidenza della repubblica, i tecnici al governo, le banche, la Confindustria, le lobby, i sindacati, la magistratura, la Banca centrale europea, la Bundesbank, la Merkel, le agenzie di rating, la grande finanza, la Commissione europea, l'Eba, il Fmi eccetera eccetera. Tutti meno i politici democraticamente eletti. Risalite sulla nave! - In questo scenario - in cui, come il capitano De Falco, dovremmo gridare ai partiti «salite su quella nave, immediatamente!» - è più che ovvio che si diffonda il demagogico vento dell'antipolitica e l'esagerata polemica sui «costi della politica». Se la politica non serve a niente, anche un euro è troppo. È dunque del tutto assurdo darsi tanto da fare - da parte di Napolitano - per far riscrivere la legge elettorale, visto che poi il voto dei cittadini e i loro eletti non conteranno niente e saranno altri a comandare. Anche dall'estero. Quello che proprio non si capisce è come i partiti si presenteranno agli elettori alle prossime consultazioni dopo che hanno abdicato così radicalmente ai propri compiti. Certo, c'è ancora un anno e un anno cruciale e drammatico. Ma sapranno svegliarsi dal loro letargo e riprendere l'iniziativa? E sapranno presentare classi di governo all'altezza? C'è da augurarselo anzitutto per le sorti della nostra democrazia e per la nostra indipendenza nazionale che sembra non stare a cuore a nessuno. Più ancora dell'economia infatti sono la democrazia e la nostra sovranità nazionale a trovarsi sull'orlo del baratro. di Antonio Socci www.antoniosocci.com