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La Maglie su Sofri: "E' libero, ma la libertà resta prigioniera"

L'ex leader di Lotta Continua si è sempre dichiarato innocente pur ritenendosi responsabile moralmente della campagna contro Calabresi

Nicoletta Orlandi Posti
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Quando la pena è finita  vuol dire che lo Stato la considera scontata, che si ritiene risarcito, e siccome chi scrive non ne può più di moloch famelici, carcere preventivo, forca e cappio, sempre in agguato nel nostro Paese, è bene che sia così e che Adriano Sofri, da uomo libero, come sia pur con le restrizioni di legge era peraltro da tempo, sia andato al Giglio a fare il cronista. Non si può però dire che la fine della sua vicenda personale ci aiuti a capire che cosa sia successo in quei giorni di quarant'anni fa,  meglio l'unica cosa che da lui, da Sofri, sappiamo è contenuta nel libro che ha appena dato alle stampe, nel quale si dichiara corresponsabile dell'assassinio del commissario Calabresi, ma non di qualsiasi altro atto terroristico degli anni '70. E così dicendo, nega che in quegli anni lui, leader di Lotta Continua, e i suoi compagni, abbiano fomentato e abbiano vissuto in un clima di orribile coesistenza e giustificazione della violenza. Ecco, perché davvero si tenti una pacificazione mai veramente conclusa del terrorismo e degli anni di piombo, manca sicuramente la forza e il coraggio della politica, morto Bettino Craxi nessuno ha mai più avuto il coraggio della verità, che non è stolta e fasulla fermezza, manca soprattutto l'ammissione delle responsabilità, il riconoscimento dell'ambiguità, la rinuncia autentica a certi modi di pensare e di giudicare che plasmarono quegli anni la sinistra intera, chi tramava e chi faceva la faccia ufficiale, a partire dal partito comunista italiano. Manca la forza della storia alla Bad Godesberg, la ricostruzione critica di un comportamento colpevole che ha prodotto danni enormi nel nostro tessuto sociale. Quarant'anni dopo nelle fabbriche e in certe cellule sindacali si ragiona ancora come allora. Adriano Sofri da sabato scorso  è libero, ha scontato la condanna a 22 anni come mandante dell'omicidio del commissario Calabresi nel 1972. In un'intervista al “Corriere della Sera” del 2009, ha riconosciuto una propria corresponsabilità morale per la campagna contro Calabresi, ha ammesso quel che è noto, che dopo la storia dell'anarchico Pinelli, arrestato e interrogato per la strage di Piazza Fontana, poi precipitato da una finestra della Questura di Milano, lui e Lotta Continua attaccarono violentemente il commissario, incolpandolo di quella morte. Sofri ha ammesso: «Di nessun atto terroristico degli anni ‘70 mi sento corresponsabile. Dell'omicidio Calabresi sì, per aver detto o scritto, o per aver lasciato che si dicesse e si scrivesse: «Calabresi sarai suicidato». Sofri conosce bene l'uso  delle parole, dice “responsabile”, ma non si definirebbe mai “colpevole”. L'odio produsse il terrorismo, eppure fu proprio Sofri a sciogliere Lotta Continua quando si accorse della piega terroristica che stava per prendere. Non si è mai sottratto ai giudici o al carcere, come invece hanno fatto tanti leader dell'estrema sinistra, da Toni Negri eletto in Parlamento nelle liste radicali e fuggito all'estero con la promessa (tradita) di rientrare in Italia, fino a Cesare Battisti, espatriato in Francia e in Brasile. Sofri avrebbe avuto più di qualsiasi altro la possibilità di sottrarsi agli anni di carcere. Aveva una rete di amicizie potenti in Europa, è considerato in Italia e all'estero un intellettuale di spessore, la sua condanna è arrivata dopo un iter giudiziario controverso e complesso che non offre le stesse certezze di condanne come quelle comminate per esempio a Battisti. Ma i gradi di giudizio sono stati molti, e la condanna confermata. Sofri si è  riabilitato agli occhi di chi lo ha sempre ritenuto tra i responsabili del clima d'odio negli anni Settanta. Ha affrontato i processi e si è battuto per dire la sua verità, si è speso in un'attività di solidarietà poco pubblicizzata nei confronti delle vittime delle guerre nella ex Jugoslavia e in Cecenia,  ha lottato per la liberazione degli ostaggi, ha faticato per ottenere e il sostegno a quei bambini. Non ha mai chiesto la grazia,  perché si è sempre proclamato “innocente”. Ma innocente, ora che è libero si può dire serenamente, non era. di Maria Giovanna Maglie

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