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Monti, Napolitano e Corriere Tutti contro la Camusso

La leader della Cgil prova a dettare legge: Monti deve convocarci tutti insieme, ma il premier la zittisce. Contro di lei anche il Colle

Lucia Esposito
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La leader della Cgil Susanna Camusso ci prova via twitter a imporsi chiedendo che l'incontro con Monti coinvolga tutte le sigle sindacali e non avvenga su tavoli separati. Monti la blocca subito e va avanti per la sua strada. Poi interviene Napolitano: anche lui contro la Camusso chiede di rivedere gli ammortizzatori sociali.  Mercoledì 4 gennaio anche il Corriere della Sera con un editoriale di Sergio Romano prende una posizione netta contro la concertazione impossibile: "Il sindacato ha fuinzioni importanti e deve essere in condizione di esercitarle con la massima libertà. Ma tra queste funzioni non vi è quella di concorrere al governo del Paese. Leggi qui sotto l'articolo di Elisa Calessi Trattare. Ma fino a che punto? Questo è il dilemma che sta dietro la polemica, solo apparentemente tecnica, sui tavoli separati per la riforma del mercato del lavoro. A lanciarla è stata la Cgil, su Twitter, intimando al governo di evitare il metodo già usato durante il precedente governo: «Monti non convochi i sindacati separatamente. Gli incontri separati stile Sacconi rendono solo tutto più complicato e più lungo». Diversa la posizione di Cisl e Uil: «Al di là della forma, per noi conta la sostanza», ha detto Raffaele Bonanni. «Se il governo vuole avviare una fase esplorativa propedeutica a un negoziato vero, la Cisl non si sottrarrà a questo confronto. Non bisogna avere paura di se stessi in una trattativa sindacale». Sulla stessa linea è Luigi Angeletti, Uil: «Non serve a nessuno introdurre nel dibattito elementi polemici di divisione che fanno riferimento all'azione del precedente governo, con il quale, tra l'altro, il sindacato, per quanto ci riguarda, ha sempre dialogato e ha ottenuto risultati concreti. Lasciamo stare il passato». Il punto, ha aggiunto Angeletti, «è che il governo ascolti e accolga il merito delle proposte sindacali». Nonostante l'ultimatum della Cgil, Mario Monti non sembra intenzionato a cambiare idea. «Gli incontri sulla riforma del mercato del lavoro», rispondono fonti del governo, «saranno con un sindacato alla volta e non con le parti sociali riunite». E a scaldare il clima si aggiunge Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria, che a Omnibus, su La7, ha spiegato come «a un certo punto dovremmo porci la prospettiva» di licenziare parte dei dipendenti pubblici per tagliare la spesa. Parole che hanno sollevato critiche da parte di tutti i sindacati. Ma è stata la questione dei tavoli separati a tenere banco. Perché una questione di metodo solleva tanta animosità? Secondo la Cgil, il rischio è che il governo punti a un accordo separato con i sindacati dialoganti, Cisl e Uil, escludendo la Cgil. La paura del sindacato di Corso Italia, insomma, è che l'esecutivo punti a dividere. Se incontri le parti insieme, spiegano, il gioco è più difficile perché ciascuno è chiamato a fare le sue proposte davanti agli altri. Ma se i colloqui sono distinti, è più facile fare patti con chi ci sta. Nel sindacato di via Po, invece, si punta il dito contro la Cgil. «Dicono così perché vogliono far valere una sorta di potere di veto per loro problemi interni. Di cosa hanno paura? Come fanno a temere un accordo separato se nemmeno si sanno i termini dell'accordo? O forse sanno già che non potranno firmarlo e perciò non vogliono che altri lo firmino?». L'allusione è al fatto che il sindacato della Camusso deve fare i conti con la Fiom. La quale non ha firmato l'accordo del 28 giugno ed è pronta a fare le barricate contro ogni riforma del mercato del lavoro. Per questo, si dice in casa Cisl e Uil, sapendo già ora che non potranno firmare alcun accordo, pena una spaccatura con la Fiom, vogliono impedire che il governo tratti con gli altri. Al di là delle letture di parte, non c'è dubbio che la divisione è tra chi è disposto a trattare (Cisl e Uil) e chi (Cgil) vorrebbe mantenersi la possibilità di far saltare il tavolo. Bonanni al Tg3 ha spiegato che «il problema è arrivare al patto». Ma la pensano tutti così? Di sicuro il governo, in questo, la pensa come Bonanni: vuole arrivare a un accordo. Perciò è contrario a situazioni che consentano a qualcuno di porre veti e far saltare la trattativa. Ciascuna avanza le sue proposte, è la tesi, poi il governo proporrà una mediazione. Ma se qualcuno dovesse starci e altri no, si va avanti.   La polemica sui tavoli divide anche i partiti. Italia dei Valori e partiti a sinistra del Pd sono dalla parte della Cgil. Quanto al Partito democratico, diviso tra un'ala filo-Cgil e una filo-Cisl, Pierluigi Bersani ieri ha cercato di dare un colpo al cerchio e uno alla botte: «Veniamo da un'esperienza di divisione del mondo del lavoro. Con l'accordo del 28 giugno si è raggiunto un punto di coesione. Voglio credere che né il governo né le parti sociali vogliano romperlo. Sennò si torna indietro». A favore della Cgil, invece, si è detto Stefano Fassina, responsabile economico: «Serve un dialogo sociale vero, non un incontro separato con i singoli leader su ricetta preconfezionata». E sulla stessa linea è Rosy Bindi, che ha invitato Monti a «non ripetere gli errori del governo precedente, che ha sempre puntato a dividere i sindacati». Non la pensa così, però, Paolo Gentiloni, che ieri su Twitter invitava il Pd a «non fare barricate a difesa dell'esistente». Sta con Monti, invece, il terzo polo, chiedendogli di  evitare le «pratiche concertative del passato» (Lanzillotta). Insomma, la battaglia non sarà facile. E, inevitabilmente, dividerà. di Elisa Calessi

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