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La Rai spegne i sordomuti: ma non è servizio pubblico?

Viale Mazzini incassa il canone, ma non rispetta il contratto che prevede che 60% programmi sia sottotitolato: ferma al 30

Andrea Tempestini
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Servizio pubblico a parole, tv commerciale nei fatti. E più vai a rovistare fra le cose di casa Rai, partendo da quanto enunciato nel Contratto di servizio, più scopri quante cose non vengono fatte. Per esempio il servizio di sottotitolazione dei programmi o la traduzione di questi mediante la lingua dei segni  a beneficio dei telespettatori non udenti. Che pagano il canone. Il Contratto di servizio, stipulato fra lo Stato e l'azienda di viale Mazzini,  prevede obblighi ben precisi nei confronti dei non udenti, con tanto di calcolo delle quote di programmazione sottotitolata e in lingua dei segni. La Rai, in realtà, è stata sempre inadempiente rispetto a questi obblighi. Negli ultimi anni ha sottotitolato solo il 30% dei programmi, a fronte di un obbligo del 60% che deve andare a salire. Un'asticella, quella del 60%, «estremamente difficile da applicare», come aveva sottolineato l'allora direttore generale della Rai, Mauro Masi, in occasione dell'audizione in commissione di vigilanza del 10 marzo dell'anno scorso. Un'ammissione d'impotenza che non rende certo onore al servizio pubblico. Tanto che nessun tg regionale, o edizione dei notiziari di Rai News, è sottotitolato, altra palese violazione del contratto. Insomma quanto basta per chiedere indietro i soldi del canone. Non potendo farlo, l'associazione Luca Coscioni ha denunciato la Rai all'Agcom, evidenziando la palese «sproporzione tra servizio prestato e canone corrisposto». «Dal momento che il finanziamento pubblico alla Rai è giustificato dalla missione di servizio pubblico», sostiene l'associazione Luca Coscioni nell'esposto presentato all'Autorità garante delle telecomunicazioni, «e proporzionato nei suoi costi, ciò implica che il servizio deve essere di qualità e che su questa qualità l'utente-consumatore deve poter fare affidamento. In mancanza, la corresponsione del canone risulterebbe del tutto svuotata di fondamento giustificativo». Eppure, come ricorda l'associazione Luca Coscioni, il nuovo contratto di servizio  (valido per il triennio 2010-2012)  prevede l'incremento progressivo del «volume della programmazione sottotitolata fino al raggiungimento nel 2012 di una quota pari ad almeno il 70% della programmazione complessiva delle reti generaliste tra le ore 6,00 e le ore 24,00, al netto dei messaggi pubblicitari e di servizio». Lo stesso contratto prevede anche l' ampliamento progressivo «della sottotitolazione ai diversi generi di programmazione inclusi i programmi culturali, di attualità, di approfondimento politico, di sport e di intrattenimento». Peccato che di tutto questo, nella Rai  dei nani e delle ballerine, e ballerini, profumatamente retribuiti non vi sia la benché minima traccia. «La condotta della Rai nel violare gli obblighi del contratto di servizio che gravano su di essa», sostiene ancora l'associazione Coscioni nella memoria inviata all'Agcom, «ha alterato la naturale relazione tra il pagamento del canone e la funzione del servizio pubblico, dato che a seguito del pagamento dell'imposta da parte dei disabili sensoriali non ha fatto seguito un servizio adeguato». E laddove non c'è una totale inadempienza del contratto,  si registra una pessima realizzazione del prodotto. Stando al monitoraggio dell'Ens, l'Ente nazionale sordomuti,  «la leggibilità e fruibilità dei sottotitoli dei programmi preregistrati risultano fortemente penalizzate dall'uso scorretto, e in molti casi illogico, della punteggiatura e dei simboli grafici convenzionali e dal ritmo spesso incalzante con il quale gli stessi appaiono sullo schermo». Un dettaglio mica da poco, considerato che nel Contratto di Servizio si parla chiaramente di promozione della «ricerca tecnologica al fine di favorire l'accessibilità all'offerta multimediale alle persone con disabilità, in collaborazioni con enti, istituzioni e associazioni del mondo delle persone con disabilità». Altro che servizio pubblico, con questa Rai siamo davvero al disastro pubblico televisivo. di Enrico Paoli

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