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Accordo tra Cina e Giappone: uno schiaffo a dollaro ed euro
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I due Paesi siglano un'inetsa per privilegiare le due monete asiatiche nell'interscambio commerciale. L'Occidente è ormai ai margini
Nemici storici sul campo, Cina e Giappone stringono un'intesa monetaria che si può leggere come un vero e proprio schiaffo al dollaro (e all'euro). Nel giorno di Natale, a Pechino, il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda e l'omologo cinese Wen Jibao hanno stretto un'intesa per privilegiare le due monete asiatiche (lo yen e lo yuan) nell'interscambio commerciale. L'obiettivo è quello di ridimensionare il ruolo del dollaro, valuta di riserva mondiale, sganciandosi così da una divisa più debole di quel che ci si potesse aspettare e il cui destino ha troppi fattori in comune con quello del derelitto euro. Riduzione del rischio - L'obiettivo dell'accordo raggiunto tra i due paesi è quello di regolare sempre più l'interscambio commerciale (pari a 260 miliardi di euro l'anno) in yen e yuan, ovvero senza l'intermediazione del dollaro. Per quanto il processo sarà piuttosto graduale, l'intesa è gravida di implicazioni destinate a rendere l'Asia e le sue due superpotenze sempre più autonome e sempre più attraenti per i capitali mondiali. Inoltre la scelta dei due paesi è dettata dall'esigenza di ridurre il rischio. Sia il Giappone sia la Cina hanno enormi riserve valutarie in dollari (rispettivamente 1.300 miliardi Tokyo, seconda solo a Pechino che ne detiene 3.200 miliardi), e registrano significative perdite sugli enormi investimenti in valuta statunitense. La Merkel preoccupata - Per ora il ruolo geopolitico di superpotenza degli Stati Uniti non viene messo in discussione. Ma il fatto che Cina e Giappone agiscano con autonomia sempre crescente è un colpo basso per un sistema occidentale che sta perdendo la sua centralità. Le cose infatti non vanno affatto meglio per l'Europa alle prese con la crisi del debito e il rischio del crollo della moneta unica. Tanto che le prime e preoccupate reazioni per l'accordo raggiunto a Pechino non sono arrivate da Barack Obama, bensì dalla cancelliera tedesca Angela Merkel.
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