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La Silviostalgia del Corriere: han paura del nemico più forte

Il quotidiano non può prendersela con Monti così punta il dito contro il Cav: a lui tutte le colpe. Perché lo temono ancora

Andrea Tempestini
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Ieri sulla prima pagina del Corriere della sera è apparso un sintomatico editoriale di Giovanni Sartori intitolato “Una politica a corto di idee”.  Il professore, ancora evidentemente provato dai brindisi natalizi, ci ha tenuto a spiegare che da mezzo secolo a questa parte, «dalla politica italiana non nasce una sola idea». Verrebbe da chiedersi se l'illustre accademico finora sia vissuto su Saturno, ma continuando a leggere si capisce che ogni parola dell'articolo (un guazzabuglio in cui ciascuna frase contraddice la precedente e tutte insieme contraddicono il pensiero sartoriano dell'ultimo ventennio) serve a riempire lo spazio necessario per giungere alla fine, dove si trova l'unico periodo importante. Conclude infatti Sartori: «Noi siamo precipitati nel momento in cui la stupidità della sinistra, allora di D'Alema e Violante, ha consegnato il Paese a Berlusconi regalandogli tutta o quasi tutta la televisione». A prima vista sembra che non sia la politica a soffrire di carenza d'idee, bensì il primo quotidiano italiano, ridotto - in pieno governo tecnico - a scagliarsi per l'ennesima volta contro il Cavaliere. In realtà, tuttavia, l'editoriale sartoresco è rivelatore di un sentimento più profondo, che da qualche settimana trasuda dai giornali italici: la nostalgia del Biscione, altrimenti nota come  Silviostalgia. Attenzione però: non si tratta banalmente del desiderio di riavere un capro espiatorio su cui concentrare tutto il proprio odio e scaricare ogni problema del Paese. La nostalgia sta lentamente scolorando nel timore. La conclusione dell'articolo di Sartori dimostra che, nel cinquantennale grigiore partitocratico, la più significativa novità della politica nostrana è stato proprio il berlusconismo. E ora che il suo ispiratore non è più al governo, l'orizzonte è ritornato cupo. Leader alternativi non se ne vedono. Del resto, dove andarli a cercare? Nel terzo polo dei bolliti? Nei progetti postdemocristiani e solidarizzanti del ministro Riccardi da Sant'Egidio? Davvero qualcuno pensa che da lì possa scaturire una forza in grado di guidare l'Italia nel prossimo futuro? Per favore. Ecco allora che l'unico condottiero disponibile sulla piazza è ancora una volta lui, Berlusconi. Il quale due giorni fa ha dato segno di non essere affatto morto e sepolto, anzi, pare in salute e pronto alla pugna. Un vero disastro per quanti fino a due mesi fa l'hanno osteggiato dipingendolo come il grande Satana. Anche perché, nell'era Monti, le balle diffuse sul suo conto cominciano a cadere una via l'altra. L'hanno trattato come un mascalzone disonesto, tentando di scalzarlo per via giudiziaria. I teoremi però crollano: nelle scorse settimane sono arrivate prima l'assoluzione nel processo Mediatrade, poi le dichiarazioni dell'avvocato Mills secondo cui il Cavaliere non avrebbe corrotto proprio nessuno. Hanno detto che, senza di lui, l'economia italiana si sarebbe ripresa: ed ecco che, con Monti al timone, lo spread continua a darci tormento, le borse traballano e la ripresa non si vede. Anzi, arrivano più tasse e zero tagli. Sostenevano che il Cav ci faceva vivere nella videocrazia, fuori dalla realtà, in un mondo fatato in cui tutti i ristoranti sono pieni. Bene, grazie ai tecnici e alla loro bella iniezione di depressione, i consumi sono sprofondati e la crisi si aggrava. Potremmo continuare parlando di informazione, che si voleva fascistizzata e blindata sulla volontà del capo, a partire dal Tg1 minzoliniano. Adesso Minzo non c'è più, ma gli ascolti non si impennano e la stampa tutta, militarizzata, non ammette critica alcuna ai tecnici. Motivi per rimpiangere Berlusconi ce ne sono, e agli occhi dei suoi avversari si tramutano in altrettante ragioni per temerlo. La Silviostalgia cresce, e ai Sartori di turno non resta che bere per dimenticare. Se lo spread non scende di un punto, magari un bicchierino di Punt e mes può aiutare. di Francesco Borgonovo

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