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Pansa ricorda il rivale Bocca: Maestro, cattivo e onesto

L'editorialista di Libero, prima collega e poi avversario del grande giornalista: "Anti-retorico, fece anche molti errori"

Giulio Bucchi
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Nessun uomo è un padreterno. Tantomeno lo siamo noi giornalisti, fatalmente indotti asbagliare. Inizia così il ricordo di Giorgio Bocca scritto da Giampaolo Pansa, su Libero in edicola oggi martedì 27 dicembre. A Milano, nella chiesa di San Vittore al Corpo, si svolgeranno questa mattina i funerali della firma di Giorno e Repubblica scomparso il giorno di Natale a 91 anni. E proprio Pansa, di Bocca, è stato allievo e amico prima, rivale e avversario su posizioni opposte negli ultimi anni. "Era un grande", lo ricorda ora l'editorialista di Libero, "aveva il carattere duro, spesso cattivo, talvolta da carogna. Del giudizio degli altri non gli importava nulla. Aveva un orgoglio smisurato delle proprie capacità. Non era incline al servilismo e alla retorica". Forse per quest0 non avrebbe accettato l'ondata di piaggeria che ha accolto la notizia della sua scomparsa. E in effetti, ricorda Pansa, di errori Bocca ne ha commessi tantissimi a cominciare dalla negazione dell'esistenza delle Brigate Rosse fino alla chiusura totale non al revisionismo, ma alla revisione del complesso periodo storico della Resistenza. Lui, ex fascista poi partigiano, ha sempre polemizzato con chi come lo stesso Pansa proponeva letture alternative di quegli anni. Dettagli, in fondo, di fronte alla morte di una grande penna. Che di insegnamenti, conclude Pansa, ne ha dati due: "Se si vuole fare del giornalismo decente, è indispensabile essere uomini di carattere, se cattivo tanto meglio. E bisogna lavorare, sino all'ultimo". Non è in fondo il caso di sottolineare gli errori di gioventù o di anzianità della firma di Repubblica. "Dicono che invecchiando si diventi acidi - scrive ancora Pansa -. Per Bocca mi pare che sia andata così. Spero che lo stesso guaio non accada pure a me".Il ricordo di Scalfari - Toccante anche il ricordo di Eugenio Scalfari, fondatore insieme a Bocca di Repubblica e suo "amico di una vita". L'ultima volta che si sono visti è stata il 6 dicembre scorso, a casa di un Bocca già malato."Stava seduto alla sua scrivania, pallidissimo, il volto scavato con le ossa della fronte, degli zigomi e delle mascelle coperte dalla pelle e gli occhi fissi davanti a sé che guardavano il vuoto - scrive Scalfari -. Gli chiesi se avesse dolore in qualche parte del corpo, rispose 'No, nessun dolore'. 'Questo è un buon segno  -  gli dissi mentendo  -  ma come ti senti?', mi guardava senza alcuna espressione, poi la bocca accennò un sorriso. La risposta fu 'non ci sono'. La moglie Silvia si era seduta accanto a lui, gli carezzò lievemente la guancia. Gli domandai se leggeva i giornali. Rispose: 'Non c'è niente da leggere'. Insistei: 'La politica ti interessa sempre?'. Rispose: 'Non c'è politica'. Poi fu lui a chiedermi: 'Tu come fai a scrivere ancora?'. Risposi che il mestiere, se lo hai imparato fin da ragazzo, è lui che ti porta sulle spalle e tu vai avanti senza fatica. Lui commentò 'per me il mestiere non c'è più, se n'è andato prima di me ma l'attesa ormai sarà breve'. Poi si voltò verso Silvia e lei mi disse che era stanco. Mi alzai, andai verso di lui e ci baciammo. 'Tornerò presto'. 'Non mi troverai, non venire, sarebbe inutile'".  

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