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Esselunga, via bavaglio Coop Ma la sinistra se ne frega

Un giudice toglie lo stopo a 'Falce e Carrello', libro di patron Caprotti sulla catena rossa. Ma la lotta non è finita...

Costanza Signorelli
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La notizia giunge nell'apatia delle feste natalizie, quando anche i guaiti politici sulla crisi sembrano dimenticati. In uno scenario simile farà poco rumore il fatto che un libro può essere di nuovo venduto liberamente dopo che una sentenza ne aveva vietata la diffusione ritenendolo diffamatorio.Eppure in quel libro proibito e spedito al rogo frettolosamente non c'era nulla che andasse contro il comune senso del pudore, non c'erano scene di sesso con panetti di burro. Anzi, l'unico burro che vi si potesse collegare era quello innocente che si trova nel banco frigo. Perché in questo libro si parla di supermercati. Dei supermarket Esselunga, una sigla che dice molto a chi abita nel nord e quasi nulla desta in chi risiede sotto Firenze. La linea gotica - Proprio questo è sempre stato il cruccio di Bernardo Caprotti, fondatore della catena: il non poter aprire i suoi negozi sotto una immaginaria Linea Gotica. La colpa, stando a Caprotti, è della Lega delle Cooperative (la Coop, insomma) che teme la concorrenza. Dopo decenni di difficoltà e soprusi, di cui già si sapeva qualcosa, nel 2007 Caprotti si decise a raccontare tutto in un libro dal titolo allettante Falce e carrello, un volume pubblicato da Marsilio e i cui proventi erano devoluti in beneficenza. Non erano i diritti d'autore che interessavano al patron di Esselunga, quanto la possibilità di raccontare, una volta per tutte, la storia della sua creatura, prima bolla di modernità per casalinghe, fatta di luci e carrelli in una Italia ancora legata alla sporta di paglia e alla bottega sottocasa. Una storia costellata di lotte con uno dei principali concorrenti nel settore della grande distribuzione: la Coop. «Non ho le prove e i testimoni sono scomparsi», esordisce Caprotti che poi racconta di come la rossa Coop abbia «messo le mani sulla spesa degli italiani», contrastando la diffusione dell'Esselunga nei modi più assurdi. Come quando arrivarono a pagare 23 miliardi di euro per un lotto di terreno nemmeno troppo esteso che non ne valeva più di 5 e al quale era interessata l'Esselunga. O quando dissero che in un'altra area erano stati trovati «rarissimi reperti archeologici» scomparsi non appena Esselunga ritirò la sua offerta. Ma non erano solo pratiche che ricordano la commedia all'italiana. Spesso venivano convocati nottetempo consigli comunali per ritirare le autorizzazioni concesse molte settimane prima.  La diatriba con le Coop va avanti per anni a colpi di cause. E nemmeno i supermercati si salvano dalla brutta abitudine italiana di dividere tutto in destra e sinistra. «Faccio i chilometri per trovare una Coop e non andare a dar soldi a quel fascista di Caprotti, che poi finanzia Berlusconi». Parole sentite da una giornalista chic e impegnata, ma poco informata: Caprotti ha ben poco a che fare con il fascismo, vista anche l'educazione ricevuta dal padre Giuseppe, toccato dalle leggi razziali. Per quanto poi riguarda i rapporti con la politica attuale potrebbe bastare la lettera che Caprotti scrisse al Corriere della Sera ai tempi della sentenza che bloccava la diffusione del suo libro e lo costringeva al pagamento di una forte multa: «Vedo che la vicenda diventa politica e questo non mi piace». Nel contempo l'industriale rifiutava anche l'appoggio del Pdl, sceso a sua difesa contro una sentenza definita «Un autentico scandalo (...), un intervento censorio». Eppure, specificava più avanti Caprotti nella lettera, la questione era politica perché le Coop «politiche  lo sono per decisione e scelta di Palmiro Togliatti, nel 1947 a Reggio Emilia». Ma quali colpe questo testo da meritare una censura degna di ben altri regimi? Secondo il giudice della Prima sezione civile, dottor Patrizio Gattari, «la pubblicazione, diffusione e promozione degli scritti contenuti nel libro Falce e carrello integrano un'illecita concorrenza per denigrazione ai danni di Coop Italia». Alla fine però, come ricorda ancora Caprotti nella lettera al Corriere, «il tribunale di Milano è stato forse clemente: non ha ammesso la diffamazione, ci ha condannato solo per concorrenza sleale. Io sono soltanto sleale, cioè unfair, subdolo e tendenzioso».  A essere condannati furono poi anche l'editore e persino il prefatore del volume. Come risarcimento danni Coop chiese 40 milioni di euro, poi ridotti a 300.000. La censura - Ma la cosa che più colpisce in questa storia è che il volume doveva essere ritirato e mai più ristampato. Fosse successo a un librino di qualche comico di sinistra ci sarebbe stata la solita manifestazione in piazza, magari al grido di «Censurateci tutti». Si trattava invece del «cattivo» Caprotti e quindi si meritava quella messa all'indice. Però molti consumatori presero le difese dell'allora presidente di Esselunga (in seguito Caprotti rinunciò simbolicamente a quella carica, «dopo la sentenza che fa di me praticamente un ladro»). Il testo di Falce e carrello, ritirato dalle librerie, iniziò a girare clandestinamente nei sistemi di file sharing, nemmeno fosse un manuale bombarolo di Al Qaeda. Inutile affannarsi a cercarlo in Rete ora, perché il libro di Caprotti potrà essere di nuovo stampato e venduto. La prima sezione civile della Corte d'Appello del Tribunale di Milano ha ordinato la sospensione dell'esecutività della sentenza. Almeno in attesa della decisione di secondo grado lo si potrà leggere senza doversi nascondere in cantina. di Tommaso Labranca  

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